LA STRADA PER SALVARCI DAI LAVORI CHE CI DELUDONO
Sono molto evidenti, e indignano, le difficoltà di chi svolge lavori umili, usuranti e sottopagati. Meno gravi, ma comunque preoccupanti, sono i sentimenti d’inutilità provati da manager, colletti bianchi, notai, legali d’azienda e altre figure che spesso gestiscono il lavoro altrui. Vanno in crisi di fronte alla domanda: «Il tuo lavoro ha senso?». No, ha risposto il 37% degli inglesi, convinto che il proprio lavoro «non dà un contributo significativo alla società».
Il sondaggio dell’istituto di statistiche Yougov fu commissionato dopo il clamore suscitato da un articolo dell’antropologo americano David Graeber, della London School of Economics, che nel 2013 pose quella domanda. Graeber ha poi approfondito il tema e scritto un libro che si chiama Bullshit jobs (esce il 20 settembre per Garzanti): sono i «lavori del cavolo», che proliferano con il boom del terziario.
Le cause? La finanza che comanda in economia, un’automazione tecnologica che spesso crea più burocrazia, strutture piramidali che hanno bisogno di tirapiedi e passacarte travestiti da consulenti. I lavori del cavolo generano un perverso odio di classe, capovolto: chi fa un lavoro anche ben retribuito ma percepito come inutile, invidia chi è pagato meno, magari è pure un sottoposto, ma almeno fa concretamente qualcosa di utile. Trionfano le frustrazioni.
E in Italia? Abbiamo raccolto le storie di persone che si sentono inutili nel loro mestiere. Non ci siamo imbattuti solo in precari sottopagati o impiegati di fantozziana memoria, costretti a mansioni assurde e ripetitive, ma anche in professionisti con alta scolarizzazione e buona retribuzione. Persone che hanno scelto una strada con convinzione ed entusiasmo, ma poi si sono scontrate con cambiamenti sociali e tecnologici, con la burocrazia o con sistemi che hanno tradito le loro aspettative.
Molti gli avvocati. «Ho la sensazione di svolgere un lavoro protocollare e impersonale. Mi sembra di non arrivare mai a un risultato concreto», ammette un esperto di diritto civile e commerciale. Un penalista riflette sul cambio di prospettiva del suo ruolo in una società sempre più orientata al giustizialismo, in cui «l’ordinamento penale rischia di cambiare identità e regole». E teme che «in questo contesto l’avvocato possa perdere il suo ruolo di presidio indispensabile nel percorso di accertamento». Può vincere la frustrazione. Una giovane psicologa ha lasciato il centro per donne in cui lavorava perché «tamponavo le emergenze, ma non arrivavo a soluzioni reali».
Qualcuno ha trovato una nuova strada. Un matematico si è licenziato da una grande azienda dove analizzava «una quantità di dati immensa e inutile persino per chi li richiedeva». Oggi insegna alle scuole superiori e dice: «Quello che faccio ha finalmente un senso».
L’inutilità percepita o reale di un lavoro può portare alla sua sparizione, avverte il sindacalista Fim Cisl Marco Bentivogli: «Scompariranno i lavori ripetitivi, che non hanno un contributo umano. L’emorragia ha già colpito gli operai di alcuni settori, come il manifatturiero, e molti impiegati, sostituiti dai software. Per questo dobbiamo investire in formazione, creare nuove competenze e introdurre nuove professionalità. Solo così ci si può salvare dal lavoro inutile».