Il barone buddhista che incontrò Corto Maltese
Leonid Juzefovic racconta la vita avventurosa di Roman von Ungern-sternberg, nemico giurato dei bolscevichi (Edizioni Mediterranee)
Il barone Ungern, chi era costui? Mai come in questo caso è giustificato l’uso del celeberrimo luogo letterario manzoniano. Perché il barone Ungern — il cui nome citato tutto d’un fiato suona così: Roman Fjodorovic von Ungern-sternberg — è una figura sospesa tra storia e leggenda, realtà e fantasia, fatti e mito.
Il lettore contemporaneo si sarà imbattuto nel Generale Barone che incontra nientemeno che Corto Maltese, il personaggio più noto dei fumetti di Hugo Pratt; oppure avrà letto la vita romanzata Il barone sanguinario di Vladimir Pozner, edita da Adelphi nel 2012 (traduzione di Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco); o, ancora, qualcuno ne avrà assunto l’identità di cavaliere della guerra e della pace nei giochi di ruolo via web. Sia come sia, fatto sta che fino a qualche tempo fa non sarebbe stato facile rispondere con certezza alla domanda manzoniana e «l’ultimo degli antibolscevichi», come lo definì Julius Evola nel 1938, sarebbe rimasto avvolto nelle nebbie della sua storia leggendaria e delle sue steppe della Mongolia.
Oggi, invece, grazie al lavoro accurato e certosino di Leonid Juzefovic — Il Barone Ungern. Vita del Khan delle Steppe, Edizioni Mediterranee — abbiamo una biografia che ricostruisce tutta la vita di Ungern: le origini, la famiglia, l’avventura, la guerra, la religione, il sogno, l’ideale, il coraggio fino al processo di poche ore e alla fucilazione istantanea ad opera dei comunisti che, come spesso accade in questi casi, uccisero l’uomo, non le sue idee.
Così cento anni dopo la rivoluzione d’ottobre e quasi un secolo dopo la fucilazione a Novosibirsk, il barone Ungern, che vedeva nell’idea stessa di rivoluzione una sorta di bestialità, ha avuto quella che il suo biografo chiama la sua «postuma e gloriosa» vittoria. Perché il fine di tutta la vita di questo nobile baltico di fede buddhista, che riteneva di dover ubbidire al divino e compiere una missione provvidenziale, fu Il barone controrivoluzionario Roman von Ungern-sternberg (1886-1921) una sorta di controrivoluzione che il Barone così spiegava a Antoni Ferdinand Ossendowski poco prima di morire in Bestie, uomini e dèi (il testo edito nel 1922 che di fatto ne ha salvato la memoria e che in Italia è stato curato da Gianfranco de Turris, sempre per le Edizioni Mediterranee): «Mio nonno ci fece conoscere il Buddhismo di ritorno dall’india e mio padre e io ne facemmo la nostra religione. In Transbajkalia ho cercato di istituire l’ordine Militare Buddhista per combattere la depravazione rivoluzionaria». Una sorta di guerra mistica tra la Luce e le Tenebre, come il Generale Barone spiegherà a Corto Maltese.