Critico della modernità
Scomparso il pensatore e urbanista francese che inventò la dromologia. Riprese l’insegnamento della Scuola di Francoforte sui guasti del progresso L’ossessione della velocità e la «bomba informatica» tra i bersagli di un filosofo che detestava gli «espert
● Il filosofo e urbanista francese Paul Virilio, autore di molti saggi, era nato a Parigi il 4 gennaio 1932 delle tecniche di spostamento e comunicazione più efficienti e veloci, e il resto del mondo diventa suddito. In questa nuova versione di 1984 di Orwell prende corpo l’os2002 sessione per il voyeurismo delle live-cam, dei selfie, della vetrinizzazione di sé, ma anche la telesorveglianza, ovvero l’avvento di una società panottica prefigurata come car- cere universale da Foucault. Il colonialismo cibernetico diventa la super bomba atomica che cancella identità sociali e personali.
In L’incidente del futuro del Paul Virilio a Parigi il 26 novembre 2002 (foto Daniel Janin / Afp) (Raffaello Cortina) Virilio critica la cieca fiducia riposta negli esperti rispetto ai politici, sferrando una requisitoria contro un fondamentalismo tecnoscientifico che sta trasformando la realtà in telerealtà «per cittadini infantilizzati» destinati solo a scontrarsi con l’incidente (le Torri Gemelle, ad esempio).
Oggi che la diffidenza grava sia sui politici che sugli esperti, si può leggere quel saggio come un avviso ai naviganti: l’operare criptico degli esperti, fatto di «compatibilità» e presentazioni di dati variamente interpretabili, rivela una sostanziale non assunzione di responsabilità dell’esperto verso il mondo. Prende così spazio la telerealtà delle fake-news.
L’intellettualismo di Virilio, la sua filosofia come «discorso aperto», fu criticato nel 1997 dal libro Imposture intellettuali (Garzanti, 1999) dei fisici americani Alan Sokal e Jean Bricmont, che ne ridicolizzarono l’uso di termini e argomenti scientifici.
Nelle scuole d’arte e d’architettura
L’analisi
Capì che la fiducia cieca nei tecnici avrebbe alimentato gli inganni dell’attuale telerealtà
italiane il pensiero di Virilio fu molto citato per tutti gli anni Ottanta e Novanta, ai tempi di Umberto Eco e delle tarde occupazioni. Poi tutto si spense… e solo Gillo Dorfles ebbe la forza di mantenere vivo un simile sguardo sulla contemporaneità.
Virilio fu direttore della Scuola speciale di architettura di Parigi e, come tutti i filosofi francesi, era engagé: negli anni Ottanta si impegnò per i senzatetto. Nel 1987 vinse il Gran premio nazionale della critica architettonica, nel 1989 fu nominato direttore di un programma d’insegnamento al Collège international de philosophie a Parigi, presieduto da Derrida. Ha pubblicato una trentina di libri e, oltre a quelli già citati, tra i più destinati a durare credo siano Vitesse et politique: essai de dromologie (1977); Esthétique de la disparition (1980); L’espace critique (1984); La machine de vision (1988). Ha collaborato alle riviste «Ésprit», «Cause Commune», «Critique», «Traverses», «Architecture d’aujourd’hui» e «Urbanisme».
È vero, oggi possiamo guardare a questi discorsi come a un eccesso di verbosità, fatto di fumose assemblee, di ghirigori intellettuali che non hanno portato a nulla. Dire che oggi gli studi universitari nelle discipline affrontate da Virilio hanno preso un’altra piega è dir poco; dire che servirebbe anche tornare al pensiero (senza ideologia) è come parlare al nulla.