MONDI PARALLELI
Modena celebra i pionieri dell’esplorazione. Tra scienza e leggenda
Sono le mappe a scandire con la loro presenza tutto il cammino di questa esibizione, a tenerla insieme e a darle senso narrando la nascita della moderna forma d’incantesimo del mondo, la forma spaziale. Si guardi all’inizio il mappamondo catalano, quattrocentesca espressione di una cultura mediterranea per cui la Terra è già molto più dello stagno che era per Platone, e al cui interno islam, pagani e cristianità, i favolosi re africani e le sirene sono congiunti soltanto dall’intreccio degli esili e obliqui tratti che corrispondono ai rombi di vento dei marinai, all’uso delle carte nautiche.
Lo stesso vale per l’«universalissima et diligentissima» carta, datata 1525, del portoghese Diego Ribero, al servizio di Carlo V e responsabile del Padron Real, il grande modello conservato nella Casa de Contratacion di Siviglia cui tutti i naviganti spagnoli, al ritorno in patria, erano tenuti ad apportare, quasi fosse una divinità, la propria offerta, le proprie informazioni aggiuntive, i propri aggiornamenti. Erano insomma obbligati ad offrire il proprio tributo appunto al vero padrone, al simulacro cartografico il cui assoluto potere (la cui precedenza rispetto a tutto quel che esiste) andava allora iniziando ad imporsi sull’intera realtà. Nasceva così la modernità come «l’epoca dell’immagine del mondo», per riprendere la formula di Heidegger.
Copia portatile del Padron, al reticolo delle tendenziali rotte la mappa del Ribero aggiunge però alcuni elementi che già puntano, o forse soltanto alludono, alla totale riduzione dell’ecumene in termini di spazio: a parte la rappresentazione dell’astrolabio visibile sulla sinistra, le linee dei tropici e dell’equatore spartiscono in senso orizzontale l’immagine, aggiungendo all’ordito degli ideali tragitti marittimi la prima trama di quel che ancor oggi è il nostro tessuto terracqueo.
È uno degli ultimi ritratti del Nuovo Mondo ancora secondo la logica di quello vecchio, connesso da linee che corrispondono alla direzione dei venti o sono astronomiche, per le quali insomma l’astrazione ( cioè quel che figura sulla carta ma materialmente non può toccarsi) si riferisce soltanto a fenomeni naturali. La prima immagine del Mondo Nuovo che obbedisce alla logica della modernità è invece la cosiddetta Carta del Cantino, ascrivibile ai primi mesi del Cinquecento.
È la più antica mappa portoghese che riporti i lineamenti delle coste americane, e il fatto che il duca di Ferrara l’avesse espressamente richiesta al suo rappresentante a Lisbona (il Cantino) è spia indubbia dell’attenzione con la quale la corte estense seguiva gli affari internazionali, nel tentativo di comprendere prima e meglio degli altri, piccola com’era, la portata del salto d’epoca. È la carta che codifica per la cultura europea l’immagine del Brasile: gli alberi dalla corteccia color della brace che danno il nome al paese, i variopinti pappagalli che furono la cosa più meravigliosa che Colombo riportò dal primo viaggio. Decisiva e del tutto inedita è però la linea rossa da nord a sud, anch’essa diritta ma arbitraria e di carattere politico, tracciata d’imperio da papa Borgia per distinguere i possessi portoghesi da quelli spagnoli. Essa segnala la nascita del nomos della Terra, secondo l’espressione di Carl Schmitt, del suo moderno ordine.
E allo stesso tempo è il primo dei moderni paralleli, verticale architrave della costruzione di quel che ancora chiamiamo reticolato geografico, vale appunto a dire della riduzione dell’intera Terra ad un’immane distesa continua ed omogenea, secondo la tecnica messa a punto da Tolomeo al tempo del massimo splendore dell’impero romano, nella sua Cosmografia. L’opera di cui Borso d’este possedeva la copia più bella di tutte: nella quale i venti, espulsi dalle mappe vera e propria, si affannano ad alitare dal margine esterno come per tenere in vita la faccia di una Terra trasformata ormai per sempre in un piano matematico.
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