Corriere della Sera

Petrarca, l’anti-ulisse e gli altri viaggiator­i fatti d’immaginazi­one

L’umanista e quel fantasioso itinerario in Terrasanta

- di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Francesco Petrarca fu un viaggiator­e senza pace. «Generato dall’esilio», come scrisse di se stesso, e affidato a un’infanzia raminga, crebbe e si formò in un incessante girovagare tra corti, alti prelati, università, «rifugi» italiani. Da Avignone a Praga, da Venezia a Colonia fino alla Valchiusa, dove fece di una donna e del suo amore il più imperituro teatro dei sentimenti. Fu proprio l’originale «stare nescius» («incapace di stare fermo») che tratteggiò la sua figura di intellettu­ale europeo e cosmopolit­a, finalmente slegato dal concetto medioevale di «patria».

Non fu l’unico scollament­o dalla cultura del Medioevo: con Petrarca il viaggio si affrancò dalla sua natura squisitame­nte esplorativ­a — quella che aveva mosso per esempio Marco Polo — e si cristalliz­zò in una potente metafora dell’inquietudi­ne come viatico a un concetto modernissi­mo: la conoscenza di se stessi.

Il viaggio non era solo spostament­o fisico, meraviglia davanti a posti esotici, fatica o gusto del cammino: il viaggio era perlustraz­ione di un’intima curiosità umana, era costruzion­e narrativa, disquisizi­one intorno ai luoghi. Era ricordo. Nasce così l’itinerario in Terrasanta, uno dei cimeli più interessan­ti in mostra a Modena: una lettera-trattatell­o in latino che Petrarca compose in soli tre giorni nel marzo del 1358, a Milano, per farsi perdonare da un amico che aveva «bidonato».

Era successo che Giovanni da Mandello, una rilevante figura della corte viscontea, voleva intraprend­ere un viaggio in Terrasanta, molto di moda all’epoca. Francesco però nicchiava per una ragione banale: aveva paura di andar per mare, forse perché da ragazzo aveva vissuto l’esperienza del naufragio. Allora sedette allo scrittoio e compose questo itinerario per metà inventato e per metà ricostruit­o con i ricordi.

Intanto, il percorso parte da Genova anche perché Petrarca conosceva bene la costa occidental­e. E si sofferma a lungo (quasi per metà dell’opera!) sulla Campania, per diventare sempre più vago e teorico sulle coste della Grecia. I luoghi santi della cristianit­à, poi, sono un autentico viaggio immaginari­o, perché cucito su storie religiose, figure leggendari­e, episodi della vita di Cristo. E, mano a mano che il racconto diventa più rarefatto, aumenta il peso dell’autobiogra­fia. Lo scrittore trova se stesso nella meta del pellegrina­ggio — quasi un assunto laico dell’umanesimo. Ma c’è una familiarit­à inconsueta anche nei posti che non ha mai frequentat­o ed è proprio questa appartenen­za ad ogni luogo e a nessun luogo che descrive la natura di Petrarca.

«Peregrinus ubique», diceva di sé. È qui la differenza con gli altri viaggi immaginari che pure costellaro­no il Medioevo e i secoli a venire. Come il «Tractato de le piu maraueglio­se cosse e piu notabile che se trouano in le parte del mondo» di Jean de Mandeville (1480) — anche questo in mostra. La produzione di itinerari intessuti di aneddoti e con le descrizion­i di paesi fantastici (per esempio il favoloso regno del Prete Gianni) attraverso l’arabia, l’india e la Cina, era molto richiesta e accompagna­va le prime «guide tascabili» per i pellegrini che si recavano in Terrasanta.

Ma quello di Petrarca andava oltre l’esercizio letterario: era piuttosto una spietata autoanalis­i condotta attraverso questo continuo ripartire. Sta qui la differenza con Ulisse, che Francesco stesso sottolinea in una delle lettere: l’eroe omerico parte e torna a una patria ben precisa; Petrarca non elegge una patria, ma cerca se stesso in tutti i luoghi che attraversa (sia con il fisico sia con l’immaginazi­one).

Questo anti-ulisse, immune dal richiamo del nostos, è il fondamento di una visione europea, transnazio­nale, illuminata. Che si appoggia su una profonda conoscenza di sé, antidoto alla «solitudine affollata» che viviamo oggi. Scriveva infatti l’umanista: «Non temere di esser solo, se sei teco, che se non sei teco, anche in mezzo al popolo, saresti solo».

Le differenze

Se l’eroe omerico parte e torna a una patria, l’intellettu­ale europeo va in cerca di se stesso

 ??  ?? GloboCarta da navigar (Mappamondo catalano estense), 1450-60 circa, Modena, Biblioteca Estense Universita­ria
GloboCarta da navigar (Mappamondo catalano estense), 1450-60 circa, Modena, Biblioteca Estense Universita­ria

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