Corriere della Sera

Il ministro e la carta dell’iva per fronteggia­re le promesse dei partiti

L’idea di Tria di spostare certe voci nelle aliquote superiori

- di Federico Fubini

Se c’è qualcosa che preoccupa Giovanni Tria in questi giorni, sono le parole. In particolar­e quando vengono pronunciat­e a sorpresa, riguardo al bilancio, dagli esponenti di governo: quelle mettono alla prova l’imperturba­bilità del ministro dell’economia per un motivo che non riguarda solo gli equilibri politici o la volatilità sul mercato nelle ore seguenti. C’è un’implicazio­ne più concreta: tutto ciò che fa muovere il mercato in queste settimane è destinato a restare a lungo. Ogni dichiarazi­one erode gli spazi di bilancio per l’italia se l’effetto diventa un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, come accaduto ieri quando il vicepremie­r Luigi Di Maio ha detto che vale la pena fare più debito pur di tagliare le tasse.

L’effetto rischia di essere in effetti più debito ma meno spazio per tagliare le tasse, a causa di un meccanismo automatico: nello stilare il bilancio, il Tesoro non può immaginare numeri arbitrari; deve ipotizzare per il 2019 il peso degli interessi sul debito che risulta dai rendimenti di queste ultime settimane. In altri termini, tutto ciò che fa salire i costi dell’indebitame­nto pubblico da metà settembre in poi entra nella nota al documento di economia e finanza come deficit in più per l’anno dopo, dunque diventa spazio in meno per le misure promesse dalle forze di governo. Lo spread di queste ultime settimane — lo scarto fra titoli pubblici italiani e tedeschi a dieci anni — va infatti proiettato in avanti nei dati della Legge di stabilità.

Per questo il ministro dell’economia ha seguito con frustrazio­ne i continui rilanci di fine estate, quando i leader di M5S e Lega facevano a gara a chiedere sempre di più. In quel momento il rendimento del titolo a dieci anni è salito fino al 3,24%, il 31 agosto scorso. Ed è anche per questo che Tria è stato felice di assistere verso metà mese a un disarmo bilaterale delle promesse più costose, fra i due partner e concorrent­i del governo populista: a quel punto il rendimento dei titoli di Stato a dieci anni è subito sceso di 44 punti (0,44%), non appena gli investitor­i hanno iniziato a pensare che il titolare dell’economia sarebbe riuscito a ottenere un deficit a attorno all’1,6% del Pil nel 2019 — piuttosto basso — come risultato della legge di Stabilità. Il ministro non ha mai rinunciato all’idea di arrivarci anche spostando certi prodotti e servizi verso fasce di aliquote più alte dell’iva, dunque aumentando il gettito.

A quel punto, allentata la tensione sullo spread, è subito partito un altro ciclo di promesse al rialzo sul deficit. È quello in corso in queste ore. Succede sempre così non appena i leader politici si sentono un po’ più al sicuro da un’altra ondata di stress sui mercati. Stavolta la sfida si consuma attorno alla soglia del 2% di deficit, rispetto al Pil, che non è solamente simbolica: in un’economia che rallenta, può rappresent­are tutta la differenza fra un debito che l’anno prossimo scende oppure non riesce quasi a farlo (o addirittur­a sale, in caso di forte rallentame­nto della crescita). Già l’incontro di governo di lunedì sera aveva messo in evidenza posizioni distanti. Poi ieri una nuova asta delle promesse è stata

 ??  ?? Incontri Il vicepremie­r e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, 32 anni, con le autorità cinesi in uno scatto postato dal leader del Movimento 5 Stelle ieri su Instagram
Incontri Il vicepremie­r e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, 32 anni, con le autorità cinesi in uno scatto postato dal leader del Movimento 5 Stelle ieri su Instagram

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