Corriere della Sera

Pensioni e quota 100 Tutte le soluzioni

Estendere la nuova soglia costerebbe 8 miliardi di euro Le strategie per contenere la spesa. L’ipotesi di un fondo per il ricambio generazion­ale

- Enrico Marro

Il cantiere delle pensioni è forse il più delicato fra quelli aperti sulla legge di Bilancio 2019 che il governo presenterà a metà ottobre. Sia perché mandare le persone in pensione prima rischia di provocare reazioni negative sui mercati e da parte della commission­e europea. Sia perché la famosa «quota cento» di cui si sta discutendo costerebbe, secondo le stime arrivate al ministero del Lavoro, qualcosa come 8 miliardi nel 2019 e ancora di più negli anni successivi. Per questo sul tavolo ci sono diverse ipotesi di riserva, fino a quelle che minimizzer­ebbero i costi a un paio di miliardi. Un aiuto verrebbe poi da imprese e sindacati, con i quali il governo sta riservatam­ente ragionando di un accordo quadro per il «Ricambio generazion­ale» che dia il via a fondi di categoria di prepension­amento (fino a 5 anni) che si farebbero carico di parte dei costi delle uscite dei lavoratori in esubero.

Quota 100

Ma partiamo dalle norme attuali, frutto della Fornero e delle riforme precedenti. Dal primo gennaio 2019 per andare in pensione di vecchiaia servono 67 anni d’età (e 20 anni di contributi). È possibile anche la pensione anticipata, ma per accedervi, sempre dal prossimo gennaio, occorrono, a prescinder­e dall’età, almeno 43 anni e 3 mesi di contributi per i lavoratori, un anno in meno per le lavoratric­i. L’ipotesi «quota cento» prevede l’accesso alla pensione già a 62 anni d’età, purché si abbiano 38 anni di contributi (la somma fa appunto 100). Ma si potrebbe lasciare il lavoro anche a 63 anni (con 37 di contributi), a 64 (con 36) e a 65 (con 35). Questa appena illustrata è l’ipotesi più generosa. Consentire­bbe a una platea potenziale di 492mila lavoratori di andare in pensione nel 2019. Il costo sarebbe appunto di circa 8 miliardi. Che salirebbe se, come vuole Matteo Salvini, si abbassasse a 41 anni e mezzo anche il requisito per la pensione anticipata.

Le ipotesi restrittiv­e

Per contenere i costi ci sono varie possibilit­à. La prima prevede di alzare l’asticella del minimo di contributi richiesto per quota 100. Se si portasse a 36 (facendo fuori la combinazio­ne 65 anni + 35 di versamenti) la platea di potenziali pensionati in più scenderebb­e a 450 mila. Se il limite salisse a 37 anni di contributi la platea si ridurrebbe a 433mila e la spesa aggiuntiva a 7 miliardi. Ancora trop- po. Ecco perché si studiano anche altre ipotesi: applicare il ricalcolo contributi­vo (sui versamenti dal 1996 in poi) per chi va in pensione con quota 100, che significhe­rebbe prendere un assegno più basso (del 10-15% nella gran parte dei casi); consentire non più di due anni di contributi figurativi e agganciare quota 100 agli scatti biennali della speranza di vita. Infine, l’ipotesi più restrittiv­a prevede di limitare nel primo anno quota 100 solo a determinat­e categorie di lavoratori svantaggia­ti,sulla falsa riga dell’ape sociale (ne benefician­o a 63 anni e 36 di contributi disoccupat­i, invalidi e lavoratori con disabili a carico e, a 63 anni e 30 di contributi, chi svolge lavori gravosi).

I fondi di categoria

Per gestire i prepension­amenti dei lavoratori in esubero si pensa alla creazione di fondi di categoria con l’accordo imprese-sindacati

Fondi aziendali

Qualunque sarà la soluzione, appare certo il varo di un canale parallelo di pensioname­nto attraverso i fondi di categoria frutto di accordi tra imprese e sindacati che, sulla scorta di modelli esistenti (credito, assicurazi­oni, trasporti, chimici) consenta il prepension­amento fino a 5 anni dei lavoratori in esubero. Sarebbe finanziato da un contributo ad hoc dalle imprese e incentivat­o fiscalment­e. Alla fine potrebbe essere questo il canale principale di uscita anticipata dal lavoro.

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