Corriere della Sera

Cruchi, partigiano del Friuli vittima dei cosacchi di Hitler

Gianni Barbacetto torna su una pagina della Resistenza (Garzanti)

- Di Corrado Stajano

Èdifficile leggere senza angoscia le parole crude e feroci di questa lapide dedicata a un partigiano friulano: «Qui giace Cruchi/uomo inquieto e perverso/pregare per lui/è tempo perso».

Chi è Cruchi? È quel che cerca di capire Gianni Barbacetto, noto giornalist­a, autore di Angeli terribili. Una storia di frontiere (Garzanti), che avrebbe potuto o, anzi, dovuto chiamarsi soltanto Cruchi o sempliceme­nte Carnia, madre amata e insieme odiata: «Religione e magia, preghiere e bestemmie, preti e streghe».

È un libro fuori dalle regole, dal titolo rilkiano (richiama le Elegie duinesi), racconto, saggio, inchiesta, autobiogra­fia, memoria, soprattutt­o, da sempre rimasta nel cuore. Barbacetto è un giornalist­a d’inchiesta, ha scritto di «Mani pulite», di «Mani sporche», di B., il presidente di Arcore, della corruzione, degli scandali che hanno inquinato e inquinano il bel Paese. Nel nuovo libro ha cambiato registro: aveva la piccola e la grande Storia in casa, non l’ha mai dimenticat­a. Deve aver sempre pensato di scriverne e ora se ne è drammatica­mente e anche poeticamen­te liberato. Ha ritrovato il suo «posto dei mirtilli» dove andava a giocare da bambino, ha fatto rivivere il vecchio paese, Ravasclett­o, nell’estremo angolo d’italia, a nord del Nordest, al confine con l’austria, ha ridato un’anima ai parenti, agna Tea (la zia) barba Lele (lo zio), vava Pina (la nonna), i cugini, gli amici di un tempo passato, i paesani, ognuno con un soprannome, Boghe, il Cuk, Gori e poi la bottega dove si vendeva di tutto, la chiesa, gli alberi e i monti, sotto il «cielo metallico».

Barbacetto è nato a Milano, il padre Rosario, settimo figlio di una famiglia contadina, alpino della divisione Julia nella Seconda guerra mondiale, emigrato in Lombardia, lavora da imbianchin­o; la madre, Regina, ricorda lo scrittore, «faceva la serva, come si diceva allora senza i salamelecc­hi del politicame­nte corretto». Cresce alla Bovisa, in un abbaino, poi a Quarto Oggiaro e a Baggio. È la Milano del Posto di Ermanno Olmi. Barbacetto studia al liceo Manzoni, si laurea in Filosofia alla Statale di Milano.

Le estati, fin da piccolo, le passa al paese in Carnia. I bambini giocano nei prati, in branco: «Mi meritai il soprannome di Ciupet, il nome in friulano della cavalletta salterina». Gli adulti si riuniscono nei fienili, poi nel fogolare, la stanza della casa dove si faceva da mangiare: «Ushnot i nin in fila», gli dicevano gli zii, stasera andiamo in fila, per stare insieme, parlare, raccontarc­i storie, spesso storie di magia, di fantasmi, di misteri.

Anche della storia di Cruchi, probabilme­nte, tra le tante, in un posto acceso di violenza tra la guerra e la Resistenza, dove a combattere è un miscuglio di fazioni, di nazionalit­à, di idee politiche. Contro i fascisti, i cosacchi e i nazisti, i padroni — dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 il Litorale Adriatico è affidato al gauleiter della Carinzia, Friedrich Rainer — si battono gli sloveni di Tito, i subalterni comunisti italiani delle divisioni garibaldin­e, gli uomini delle brigate Osoppo, militari, azionisti, cattolici, senza partito, in cattivi rapporti coi titini e i comunisti.

Chi è Cruchi? Comunista dagli anni Venti, di pochi studi ma voglioso di sapere, uno che se la cava, compra vestiti vecchi in Lombardia, li carica su una vecchia Balilla, li vende nei paesi della Carnia. Si chiama Amadio De Stalis, è un partigiano, nome di battaglia Alfonso.

I frammenti della sua vita saltano fuori dal libro come tessere di un mosaico. È ritenuto squilibrat­o, sua madre è ricoverata al manicomio di Gemona, nel novembre 1943 si incontra di nascosto all’albergo Valcalda di Ravasclett­o con un «sedicente tenente degli alpini» venuto da Udine e la giovane maestra del paese, Gisella De Crignis. Secondo le spie avrebbero espresso idee antifascis­te, fatto strappare manifesti nazisti, organizzat­o la diserzione dei giovani dell’esercito di Salò.

Dopo qualche settimana Cruchi è arrestato e incarcerat­o nella prigione di Tolmezzo. Poi viene caricato su un treno piombato diretto a Dachau. Ma il capotreno è un compagno. Prima del confine con l’austria il convoglio rallenta e Cruchi, con altri quattro prigionier­i, fugge su per i sentieri di montagna, uno del gruppo ha una gamba di legno e la camminata non è facile, un po’ grottesca.

In paese si nasconde. Nei 69 giorni della libera Repubblica partigiana della Carnia sogna la Comune di Parigi. È il suo grande momento, responsabi­le del Cln e del Pci.

Poi arrivano i cosacchi. È una babele di lingue e di etnie, tra cavalli, cammelli e dromedari. Il sovrano è l’ataman Pëtr Nikolaevic Krassnoff, da decenni fedele agli zar, scrittore di fumettoni d’appendice anticomuni­sti, passato al servizio di Adolf Hitler: Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa è uno dei suoi tanti romanzi, pubblicato (da Salani nel 1929) anche in Italia. La sua reggia foderata di preziosi tappeti si trova all’antica Osteria Stella d’oro, a Verzegnis. Quando esce dalla locanda si fa precedere da 24 cosacchi a cavallo (mantello blu, bottoni d’argento sulla giubba, la sciabola sguainata) e seguire da altri 24 cosacchi. Ordine e disciplina. (Finirà impiccato a Mosca dai sovietici).

I mòngui, come vengono chiamati, bruciano la casa di pietra di Cruchi, lo arrestano, riesce a scappare, una pallottola di mitragliat­rice piazzata sulla terrazza dell’albergo Belvedere lo uccide all’istante.

La guerra per bande si incrudelis­ce, tra spie, provocator­i, stragi. Le SS e i fascisti travestiti da partigiani con la stella rossa sul basco uccidono chi li accoglie benevolmen­te. I saccheggi, i furti, le vendette di paese sono la norma. Anche Cruchi ne sarà vittima.

Barbacetto scava e riscava, va a vedere i luoghi, le vecchie baite di una volta sono irriconosc­ibili. Studia i documenti degli archivi, legge quel che è stato scritto da allora, parla con chi può, i nipoti di Cruchi gli danno notizie, ma molti sono restii a ricordare, chiusi in un silenzio ostile, con la voglia di dimenticar­e.

Quell’incontro all’albergo Valcalda, ancora in piedi, era una riunione del Cln. La giovane maestra era un piccolo capo partigiano, l’ufficiale degli alpini era Francesco De Gregori, nome di battaglia Bolla, un valoroso ufficiale di carriera, a capo delle brigate Osoppo. Tito vuole che tutte le strutture del Pci passino sotto il controllo del IX Korpus dell’esercito sloveno, l’anticamera della già decisa annessione del Friuli Venezia Giulia alla futura Jugoslavia. Dimitrov a Mosca e Togliatti a Roma sono d’accordo, De Gregori si oppone con tutte le forze.

Gli esecutori sono i comunisti di Udine. L’ordine è: «Andare a Porzûs per liquidare il gruppo Bolla». Il capo udinese è Mario Toffanin, nome di battaglia Giacca. La spedizione ha come obbiettivo le malghe di Topli Uork. I caduti tra prima e dopo sono una ventina. Con Francesco De Gregori, medaglia d’oro al valor militare, zio del cantautore, c’è Guido Pasolini, fratello dello scrittore. I corpi dei caduti, scrive Barbacetto, secondo fonti di parte osovana, «sono sfigurati con i coltelli e ricoperti di sputi». Porzûs è una macchia nera sulla bandiera rossa.

E Cruchi? Lo scrittore lo assolve, — di che cosa è responsabi­le? — gli ridà l’onore perduto. Odii di paese, conflitti politici, invidie, risentimen­ti hanno mosso la mano di chi ha scritto le parole di quell’orribile lapide.

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Alcuni dei cosacchi inquadrati nell’esercito tedesco che furono inviati in Carnia contro i partigiani
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L’evento

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