Corriere della Sera

Il merito di chiudere la «querelle» sul Barocco

- Di Gian Mario Benzing

Un tempo, le stagioni delle grandi orchestre sinfoniche raramente parlavano il linguaggio del Barocco. Se lo facevano, era per rileggerne solo i massimi capolavori e secondo uno stile che oggi consideria­mo storia della ricezione: più generalist­a che idiomatico. Dagli anni Ottanta, l’ascesa delle esecuzioni «filologich­e», pur con tutti i dubbi, i pionierism­i esasperati e iconoclast­i che l’hanno accompagna­ta, ha generato la riemersion­e di un repertorio immenso, ma ha anche alzato steccati. A mano a mano che il regno dei «filologi» si allargava, da Bach al primo Haydn, su su fino a Beethoven e Berlioz, gli «altri» si ritiravano nel loro mondo. È la fine, dicevano alcuni, adesso metteranno il basso continuo anche a Wagner... Per fortuna, oggi le contese territoria­li volgono al tramonto e la stagione di Santa Cecilia, come anche altre illustri, è alfiere del mutamento. Da un lato, ha sviluppato, e dall’interno, un suo «strumento» per l’antico, l’accademia Barocca di Santa Cecilia (in scena il 30 gennaio con Federico Maria Sardelli e i Concerti Grossi op. 3 di Händel); dall’altro, inserisce nel suo cartellone fior fior di appuntamen­ti con la musica del ‘700, affidati a maestri che a questo repertorio hanno dedicato una vita. Giovanni Antonini avanza nella grandiosa integrale delle Sinfonie di Haydn, Marc Minkowski accosta Gluck e Rameau; Trevor Pinnock in trio esalta Bach, Ton Koopman affronta la Grande Messa in do minore di Mozart. È il segno di un’inclusione che a tutti giova, pubblico e musicisti. E il fatto che sia inclusione di «specialist­i» non preclude qui altre «libertà» interpreta­tive. Pappano ha già diretto le Passioni di Bach. Se domani, ad esempio, le dirigesse Temirkanov, non correremmo tutti ad ascoltarlo?

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Il maestro Ton Koopman dirigerà la Grande Messa di Mozart

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