La Cenerentola sgargiante di Cecilia Bartoli
Gli economisti parlerebbero di spread. Un certo divario, in effetti, si avverte: fra i nove minuti e mezzo di standing ovation scatenati domenica da Cecilia Bartoli, icona della superdiva italiana all’estero, al Kkl di Lucerna, nell’acuto finale del prestigioso Festival estivo; e, d’altra parte, il «minuto» Rossini udito: La Cenerentola, in una versione semi-scenica (regia di Claudia Blersch), in realtà più scenica di altre. Anzi, sgargiante e iperattiva, con Angelina che lustra le scarpe anche al primo violino, una sorellastra pavonata e l’altra fasciata da vamp con caschetto fucsia, e tutti caricati al limite del farsesco, tanto che il consueto, leccato eccesso di moine, tipico della Bartoli, quasi non si nota.
A tanto agitarsi, corrisponde però un Rossini magrolino. Gianluca Capuano, che dirige Les Musiciens du Prince-monaco, in vago stile antico, sta sul palco e volta le spalle ai cantanti: eppure non fallisce un appiombo, pur con tempi vorticosi e ferrea meccanica di guizzi e di sillabe. Sì, ma il suono è ruvido e puntuto, i crescendo molto limitati, a non coprire le esili voci. A parte il Don Magnifico di Carlos Chausson e l’esperto Dandini di Alessandro Corbelli, tutto è sussurrato, merlettato. Grazioso, ma disidratato nella resa. La superdiva Bartoli acuisce ad effetto la tensione gutturale del timbro e gli affondi nel registro grave, che meglio le riesce, ma ha un’escursione dinamica molto ridotta. Dove invece sfodera tutto il suo magistero è nelle raffiche dell’agilità, salde quanto delicate e fluide: specie in «Non più mesta accanto al fuoco», una lezioncina di stile.