Una forza Ue ai confini? L’idea non piace a Roma (né all’europa del Sud)
SALISBURGO In fondo, l’asimmetria tra i Paesi di sbarco e il resto d’europa sull’immigrazione assomiglia a quella classica sull’economia. Quanto meno ripropone, eccezion fatta per Parigi, le stesse linee divisorie. Lì il dilemma era (ed è) se dovesse venire prima il consolidamento o la crescita, il rigore o lo sviluppo. Qui, come confermano le parole di Sebastian Kurz, è se occorra prima rafforzare e proteggere le frontiere esterne, potenziando Frontex come vogliono Germania, Francia, Austria, la Commissione europea e quant’altro, ovvero dare precedenza al ricollocamento dei migranti, come chiede l’italia.
Diciamo subito che il rovello non verrà sciolto nelle sale barocche della città di Mozart, che ospitano il Consiglio europeo informale. Sarebbe già qualcosa se stamane il cancelliere austriaco, presidente di turno, riassumendo il senso dei colloqui dicesse «stiamo facendo dei progressi», in vista del vertice decisivo, quello in calendario il 16 ottobre a Bruxelles.
È chiaro che l’italia non è messa molto bene. Soprattutto se continua a farsi del male da sola, inimicandosi praticamente tutti con le sortite rumorose e situazioniste del ministro degli Interni, invece di cercare alleanze e costruire consenso. «Il nostro governo non ha ben compreso cosa bisogna fare», osserva Antonio Tajani in una pausa del vertice parallelo dei popolari europei.
Che poi le perplessità italiane (ma anche spagnole e greche) al dettaglio della proposta per Frontex hanno senso, è un’altra storia. Diversa ma non contraddittoria. 10 mila effettivi e quasi 10 miliardi di investimenti entro il 2020 sono una cifra enorme, viene fatto osservare. Con quali regole d’ingaggio per una forza che dovrebbe poter schierare le sue guardie alle frontiere, cioè sul territorio dei Paesi di arrivo? Senza scomodare le fonti, lo stesso cancelliere Kurz ha riassunto le preoccupazioni di Roma, Madrid e Atene: «Temono che rafforzare Frontex significhi anche più registrazioni e una perdita di sovranità». Salvo rispolverare l’antico refrain dello screening all’ingrosso: «Forse i Paesi del Sud non sono scontenti che molti dei nuovi arrivati possano proseguire il loro viaggio verso l’europa centrale».
Tornando a cosa debba venire prima, è del tutto sensata anche la richiesta italiana di dare priorità a un meccanismo sugli sbarchi, fosse pur temporaneo, in modo da evitare che ogni episodio diventi un nuovo Acquarius o una nuova Diciotti. «Ci vuole un sistema più prevedibile e solidale, in grado di porre fine alle soluzioni ad hoc», spiega una fonte europea. Ma il punto è proprio la solidarietà, merce scarsa nell’europa di oggi.
Poi ci sono i rimpatri, sui quali si sta lavorando con crescente consenso, ma su cui l’italia chiede alla Commissione di impegnare soldi veri. E last but not least, ci sono i denari del fondo per l’africa, da usare per concludere intese con i Paesi d’origine, dove viene ricordato che i piani della Commissione prevedono cifre complessive sei volte inferiori a quelle impegnate per l’accordo con la Turchia: «Non 4 miliardi ma quattro volte tanto sarebbero una cifra appena adeguata». Richieste sacrosante, che tuttavia avrebbero bisogno di forte credibilità e capacità strategica. Anche quelle merce rara.