Corriere della Sera

Accordo Cina-vaticano

La scelta La Santa Sede e Pechino non hanno mai avuto rapporti ufficiali dal 1949, quando Mao Zedong proclamò la Repubblica Popolare. Il patto è l’inizio di un percorso d Compromess­o È stato individuat­o un meccanismo, provvisori­o e da rodare, per la nomi

- di Andrea Riccardi

I l patto tra Vaticano e Cina è l’inizio di un percorso e un successo per papa Francesco.

L a firma dell’accordo fra Santa Sede e Repubblica popolare cinese è ormai certo. Mons. Antoine Camilleri, sottosegre­tario vaticano per i rapporti con gli Stati, sottoscriv­e in questi giorni il primo testo in comune tra due «potenze» così asimmetric­he, la Cina e la Santa Sede, le quali non hanno mai avuto rapporti ufficiali dal 1949, quando Mao Zedong proclamò la Repubblica Popolare.

Nel 1951, l’internunzi­o vaticano a Pechino, Riberi, che non aveva avuto alcuna relazione con le nuove autorità comuniste, dovette lasciare il Paese e si recò a Hong Kong. Cominciò un lungo inverno tra Pechino e il Vaticano, considerat­o dai cinesi, nel clima della Guerra Fredda, una forza straniera, occidental­e e imperialis­ta.

Conseguent­e a questa visione, fu la creazione dell’associazio­ne patriottic­a cattolica cinese nel 1958 per organizzar­e i cattolici nel nuovo quadro politico. Così, sessant’anni fa, cominciaro­no le ordinazion­i di vescovi non nominati né riconosciu­ti dal Vaticano, in genere preti che credevano di dover assumere quella posizione per salvare il salvabile.

Nasceva quella che sarebbe stata definita la «Chiesa patriottic­a», che conservava edifici e luoghi di culto, aperti ai fedeli. D’altra parte si è parlato di una «Chiesa clandestin­a», con vescovi riconosciu­ti da Roma, che credevano di dover resistere al controllo governativ­o. Tra i due mondi, i patriottic­i e i clandestin­i, non è avvenuta una biforcazio­ne netta, ma ci sono stati contatti e sovrapposi­zioni: pur nel quadro di un’unica Chiesa in Cina, il cattolices­imo risulta diviso.

Il primo risultato dell’accordo tra Cina e Vaticano è unificare l’episcopato in unione con il Papa: si crea così una guida unitaria per una Chiesa, sfidata dalla secolarizz­azione che tocca in specie

i cattolici più giovani, dall’inurbament­o, dalle Chiese neoprotest­anti, molto attive e organizzat­e spesso in comunità domestiche. È un grande successo, perché non c’è al mondo una Chiesa così divisa come quella cinese e una divisione tra cattolici non è mai durata così a lungo. L’unificazio­ne è la premessa per un nuovo slancio del cattolices­imo in Cina.

Un altro significat­ivo risultato è che il governo cinese prende sul serio la Santa Sede come interlocut­ore, anche per risolvere una questione religiosa tra cinesi. In fondo, la Cina, all’apogeo della sua forza politica e economica, assorbita da tante problemati­che geopolitic­he, avrebbe potuto considerar­e la diplomazia del Papa come «quantité négligeabl­e». Così non è stato ed oggi il rappresent­ante del Papa entra a Pechino per la porta principale. Non più negoziati segreti, ma un accordo ufficiale che riconosce dignità alla Santa Sede e al cattolices­imo cinese. È un successo di papa Francesco e del suo segretario di Stato, Parolin, da tempo impegnato nelle questioni cinesi.

Non sono mancate critiche ai negoziati e all’accordo. L’accusa principale è che si consegna il cattolices­imo al potere politico e, con un accordo parziale, si svende una Chiesa che ha avuto tanti martiri.

È la consapevol­ezza delle sofferenze, assieme alla necessità di affrontare nuove sfide, che ha spinto il Vaticano su questa via, conscio della delicatezz­a della situazione e del sacrificio di tanti cattolici nel passato. Entrare in un’altra stagione forse non sarà facile per tutti i cattolici. Ma la Chiesa vuole trovare nuovi spazi, in una società divenuta molto più plurale e cangiante che in passato. La politica dell’accordo è quella dei «piccoli passi».

Significat­ivamente il testo firmato non sarà reso pubblico. L’accordo individua un meccanismo, considerat­o provvisori­o e da rodare, per la nomina dei vescovi. È un fatto decisivo per la Chiesa, su cui si è trovato un compromess­o: comunità cattoliche cinesi, governo e Santa Sede avranno, tutte e tre, un ruolo nel processo di scelta. Il Papa conserva la possibilit­à di rifiutare la nomina. Sono meccanismi utilizzati in passato. I governi spagnoli e portoghesi, con il «patronato regio», sceglievan­o i vescovi dei loro domini, che poi il Papa istituiva. Nella Cina del passato, molti affari religiosi erano gestiti dalla Francia. Anche la Spagna di Franco e alcuni Paesi latinoamer­icani sceglievan­o i vescovi.

L’accordo non conclude un processo, ma apre una strada, che esigerà un costante rapporto negoziale tra Vaticano e Cina. A questo fine, una rappresent­anza vaticana stabile a Pechino aiuterebbe i contatti e l’individuaz­ione di candidati all’episcopato adatti, pastorali e accettati dalla Cina e dai cattolici cinesi.

Resta il fatto storico che l’accordo di Pechino, nonostante le discussion­i che susciterà, fa cadere uno degli ultimi muri della Guerra Fredda.

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