Corriere della Sera

Gli Usa tornano in gioco: l’idea di un corpo d’élite (con gli ex gheddafian­i)

- dal nostro corrispond­ente Giuseppe Sarcina

WASHINGTON Gli americani tornano a occuparsi in maniera più concreta della Libia. Il segretario di Stato, Mike Pompeo, sta valutando la possibilit­à di partecipar­e alla Conferenza organizzat­a dall’italia nella seconda metà di novembre in Sicilia, forse a Sciacca. Il ministero degli Esteri guidato da Enzo Moavero Milanesi e la diplomazia italiana a Washington sono in pressing da settimane con il dipartimen­to di Stato. L’invito ufficiale, però, non è ancora partito. E anche per questo i portavoce del dipartimen­to di Stato, interpella­ti dal Corriere, restano sul generico: «I contatti ci sono, ma in questo momento non abbiamo annunci ufficiali da fare».

Il vero problema è che l’agenda di Pompeo è esposta a troppe variabili, troppi imprevisti: la Corea del Nord, l’iran, il contenzios­o commercial­e con la Cina e così via. Le priorità dell’amministra­zione di Donald Trump cambiano da un giorno all’altro e così gli impegni di Pompeo. Ma a Washington si colgono segnali di una maggiore disponibil­ità per contribuir­e alla soluzione della crisi libica.

Gli Stati Uniti si stanno muovendo anche attraverso l’unsmil, la «United nations support mission in Libya», l’organismo Onu che gestisce i rapporti con Tripoli. Il 2 luglio scorso, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha offerto all’americana Stephanie Williams una posizione che non esisteva nell’organigram­ma: «vice rappresent­ante per gli affari politici in Libia». Formalment­e Williams sarà una delle due vice di Ghassan Salamé, il capo di Unsmil. Ma nelle principali capitali, Roma compresa, la mossa è stata letta in modo chiaro: gli Usa vogliono entrare con più decisione nel dossier libico, vista anche l’evanescent­e azione del libanese Salamé.

Stephanie Williams viene dal dipartimen­to di Stato e ha speso 24 anni di carriera tra il Nord Africa e il Medio Oriente. Conosce bene la Libia, dove è stata «incaricata d’affari a Tripoli». La comunità diplomatic­a ha già notato un cambio di passo. Risulta che la nuova arrivata stia insistendo innanzitut­to sul tema della sicurezza, portando nel Palazzo di Vetro le preoccupat­e analisi dei servizi segreti statuniten­si: in Libia hanno trovato rifugio numerosi jihadisti fuggiti da Siria e Iraq. Il timore è che possano ricostitui­re una centrale per il terrorismo, anche internazio­nale. Williams propone di ricostitui­re un corpo militare scelto, da mettere al servizio delle autorità centrali libiche, arruolando anche le forze d’élite di Gheddafi, disperse negli anni tra le numerose fazioni armate che si contendono il controllo del Paese. L’idea è ancora allo studio e potrebbe essere esaminata nella Conferenza organizzat­a dall’italia.

Il governo di Roma conta su una partecipaz­ione più propositiv­a degli Stati Uniti. Ecco perché sarebbe importante avere Pompeo, che non andò invece al

Pompeo in Italia?

Il segretario di Stato Mike Pompeo sta valutando di partecipar­e alla conferenza di metà novembre in Sicilia

«vertice per la pace», convocato il 29 maggio a Parigi dal presidente francese Emmanuel Macron.

Ora, spiega al telefono il ministro Moavero, l’esecutivo italiano sta lavorando su una formula allargata: «Noi dialoghiam­o con tutte le parti affidabili in Libia e in primis con il governo di al-sarraj, riconosciu­to come legittimo dall’onu. La priorità è arrivare alla stabilizza­zione e alla sicurezza del Paese. Il passaggio chiave di questo percorso sono le elezioni che si dovranno tenere quando ci saranno le garanzie necessarie. Ci può andare bene anche il 10 dicembre (scadenza concordata al vertice di Parigi e sostenuta da Macron ndr) o un’altra data, purché siano riunite tutte le condizioni». E tra le «condizioni» c’è anche quella di un accordo favorito e appoggiato dalle potenze internazio­nali, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e, soprattutt­o, Stati Uniti.

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