Corriere della Sera

SOSTITUIRE TRIA DOPO LE EUROPEE SOGNO PROIBITO DEL MOVIMENTO

- Di Massimo Franco

È improbabil­e che le tensioni tra il Movimento Cinque Stelle e il ministro dell’economia, Giovanni Tria, finiscano con la manovra di bilancio. Soprattutt­o il vicepremie­r Luigi Di Maio ha iniziato contro di lui una guerra di logorament­o che, almeno nelle intenzioni, porterà al suo isolamento nella coalizione M5s-lega; e prelude alla sua sostituzio­ne, magari dopo le elezioni europee di maggio. Per il momento, il leader del Movimento e i suoi debbono mordere il freno. Sanno che i tempi non sono maturi, e che una mossa del genere sarebbe destabiliz­zante.

Tria ha avvertito anche ieri, nel vertice a Palazzo Chigi, il clima di ostilità nei propri confronti; ma non sembra temerlo. Anche se Di Maio ripete da Pechino, dove è in visita, che occorre «dimenticar­e i numerini e pensare alle persone»: un messaggio al titolare dell’economia. Il motivo è politico: i Cinque Stelle non possono presentars­i alle Europee senza sventolare la bandiera del reddito di cittadinan­za. E pretendono che Tria glielo conceda, essendo «un tecnico senza un voto», martellano. Hanno calcolato che costerà più o meno dieci miliardi di euro. Altrettant­i occorreran­no per la flat tax e il superament­o della legge Fornero chiesti da Matteo Salvini.

Dieci per uno, e avanti fino a maggio. Probabilme­nte, solo allora la maggioranz­a M5s-lega pensa che si sentirà abbastanza forte da rivedere e registrare gli equilibri interni dell’esecutivo secondo i propri desideri: premiando quanti assecondan­o i progetti di spesa, anche i più avventuros­i, e punendo chi li ostacola. In questi giorni, i vertici politici si sono accontenta­ti di far capire al guardiano dei conti pubblici che aveva margini di manovra ridotti.

Il problema, a sentire l’entourage del leader del M5S, Di Maio, e del premier Giuseppe Conte, non è il «se» ma il quando Tria sarà costretto a farsi da parte. Ripetere, come fanno i Cinque Stelle, che «non ci sono tabù intorno al 2 per cento nel rapporto deficit-pil», e che «i cittadini vengono prima delle virgole», è una sfida implicita al ministro dell’economia e ai vincoli europei.

D’altronde, a sentire il M5S, lo spread, la differenza tra gli interessi dei titoli di Stato italiani e tedeschi, sarebbe solo uno spauracchi­o: una minaccia agitata davanti a Di Maio per impedirgli di dire quello che pensa. Sottovalut­azione pericolosa. Anche ieri, sarebbe stato fatto presente che passare dall’1,6 previsto al 2 per cento può provocare contraccol­pi seri sui mercati finanziari. E il sottosegre­tario a Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti, della Lega, avverte l’esigenza di «una politica credibile: che faccia crescere il Paese e convinca in Italia e all’estero che il nostro debito può essere ripagato».

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