SOSTITUIRE TRIA DOPO LE EUROPEE SOGNO PROIBITO DEL MOVIMENTO
È improbabile che le tensioni tra il Movimento Cinque Stelle e il ministro dell’economia, Giovanni Tria, finiscano con la manovra di bilancio. Soprattutto il vicepremier Luigi Di Maio ha iniziato contro di lui una guerra di logoramento che, almeno nelle intenzioni, porterà al suo isolamento nella coalizione M5s-lega; e prelude alla sua sostituzione, magari dopo le elezioni europee di maggio. Per il momento, il leader del Movimento e i suoi debbono mordere il freno. Sanno che i tempi non sono maturi, e che una mossa del genere sarebbe destabilizzante.
Tria ha avvertito anche ieri, nel vertice a Palazzo Chigi, il clima di ostilità nei propri confronti; ma non sembra temerlo. Anche se Di Maio ripete da Pechino, dove è in visita, che occorre «dimenticare i numerini e pensare alle persone»: un messaggio al titolare dell’economia. Il motivo è politico: i Cinque Stelle non possono presentarsi alle Europee senza sventolare la bandiera del reddito di cittadinanza. E pretendono che Tria glielo conceda, essendo «un tecnico senza un voto», martellano. Hanno calcolato che costerà più o meno dieci miliardi di euro. Altrettanti occorreranno per la flat tax e il superamento della legge Fornero chiesti da Matteo Salvini.
Dieci per uno, e avanti fino a maggio. Probabilmente, solo allora la maggioranza M5s-lega pensa che si sentirà abbastanza forte da rivedere e registrare gli equilibri interni dell’esecutivo secondo i propri desideri: premiando quanti assecondano i progetti di spesa, anche i più avventurosi, e punendo chi li ostacola. In questi giorni, i vertici politici si sono accontentati di far capire al guardiano dei conti pubblici che aveva margini di manovra ridotti.
Il problema, a sentire l’entourage del leader del M5S, Di Maio, e del premier Giuseppe Conte, non è il «se» ma il quando Tria sarà costretto a farsi da parte. Ripetere, come fanno i Cinque Stelle, che «non ci sono tabù intorno al 2 per cento nel rapporto deficit-pil», e che «i cittadini vengono prima delle virgole», è una sfida implicita al ministro dell’economia e ai vincoli europei.
D’altronde, a sentire il M5S, lo spread, la differenza tra gli interessi dei titoli di Stato italiani e tedeschi, sarebbe solo uno spauracchio: una minaccia agitata davanti a Di Maio per impedirgli di dire quello che pensa. Sottovalutazione pericolosa. Anche ieri, sarebbe stato fatto presente che passare dall’1,6 previsto al 2 per cento può provocare contraccolpi seri sui mercati finanziari. E il sottosegretario a Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti, della Lega, avverte l’esigenza di «una politica credibile: che faccia crescere il Paese e convinca in Italia e all’estero che il nostro debito può essere ripagato».