Ficuzza, in un altro mondo
Il borgo nei pressi di Corleone punta sui suoi tesori «antichi»: un bosco a mosaico con le vigne, la reggia e la via dei pellegrini
Una manciata di chilometri da Corleone, ed ecco il borgo di Ficuzza, circondato da 4.000 ettari di macchia mediterranea. Di quel comune noto alle cronache giudiziarie (mafia e boss) è una frazione, piccola oasi apprezzata da chi ama la natura, il paesaggio, la storia.
Per arrivarci, in auto da Palermo occorre poco meno di un’ora di viaggio, inerpicandosi verso l’altopiano fino a toccare quasi 700 metri di altitudine. (Non a caso s’intitola «700» lo spumeggiante Brut a produzione limitata dell’azienda vinicola Cusumano di Partinico, che qui possiede alcuni vigneti pregiati). A Ficuzza sembra di essere «fuori dal mondo». Ma va ricordato che fino al 1959 c’era la ferrovia costruita nel 1884. Binario a scartamento ridotto.
Oggi, sulle tracce della linea chiusa, la modernità regala ai turisti un breve tour a bordo di un trenino elettrico. Sopravvive l’antica Stazione, trasformata nell’omonimo B&B dove rifocillarsi e alloggiare. Perché un borgo sperduto, sotto le 100 anime (i numeri si alzano in estate), zero botteghe, merita di essere raccontato?
Il bosco — riserva naturale integrata — è un tripudio di colori e profumi (biancospino, ligustro, roverella, corbezzolo, mirto...) dove a mosaico s’incastrano le vigne. E la fauna non è da meno. Dunque, si può ben comprendere come, qualche secolo fa, Ferdinando IV di Borbone, protagonista di leggendarie battute di caccia, avesse acquistato l’area di proprietà della Chiesa per farvi costruire ai margini della macchia mediterranea un palazzo reale. Reggia di campagna attorno alla quale si sarebbe costituito il borgo di Ficuzza. All’ingresso del palazzo borbonico ci aspetta Castrense Lupo, il custode, operaio forestale.«dal 2015 — spiega — l’edificio è diventato Museo regionale. Contiamo circa 20-25.000 visitatori l’anno. Il 30% sono stranieri». Il reale Casino di caccia fu realizzato in 5 anni (1802-1807) su progetto iniziale dell’architetto regio Carlo Chenchi, sostituito poi da Giuseppe Marvuglia. Al piano terra, la cappella privata e un piccolo museo di storia naturale; al piano nobile un succedersi di stanze, alcune affrescate. Ai lati della reggia, quelli che un tempo erano edifici di servizio, oggi sono abitazioni private.
Erita Orlando vive quasi stabilmente a Ficuzza da 30 anni, in onore de padre che vi è nato. Dal 2014 gestisce La Locanda del Re di fronte alla reggia. Prodiga di informazioni, Erita serve cibo semplice e bevande. «A Ficuzza arrivano i pellegrini in sosta dai percorsi di due importanti itinerari. La via Francigena e il cammino di Santa Rosalia», racconta mentre versa in un calice il bianco fresco. Anche Diego Cusumano, il produttore del vino, si sente parte del borgo. «L’acquisto dei vigneti a Ficuzza fu un’intuizione di mio padre, circa 15 anni fa — osserva —. Allora, la viticoltura in quota non era considerata. Ci si rese conto in seguito dell’ottimo investimento: il microclima, l’acqua abbondante, il bosco di Ficuzza da cui i filari attingono ossigeno... Qui puntiamo alla massima qualità dei vini. Considerati di montagna, non di mare. Il Brut 700 esprime al meglio la forza del territorio».
Vini e formaggio. Lo sviluppo dell’arte casearia risale al tempo dei Borboni. Il meglio dei prodotti (in primis, il caciocavallo di Godrano), si trova al Caseificio Barbaccia. Il latte arriva dai numerosi bovini che pascolano sui monti circostanti. Ma Ficuzza ha in serbo una particolare sorpresa: il piccolo ospedale per animali, condotto da Giovanni Giardina che, nel 1996, fondò una sezione della Lipu. Diventata la più importante della Regione. «Ci portano animali feriti di ogni specie — racconta — . Ogni anno ne abbiamo in cura circa 1600. Riusciamo a recuperarne più del 40%. Risanati, li reinseriamo nel loro ambiente naturale».