Corriere della Sera

La Corte internazio­nale e gli Usa Storia di un idillio mai sbocciato

- Di Sergio Romano

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale i vincitori non si limitarono a colpire i vinti, come accadeva in passato, privandoli di una parte del loro territorio e infliggend­o pene pecuniarie. In alcuni casi (Germania e Giappone) crearono tribunali che processaro­no i loro leader e pronunciar­ono un numero considerev­ole di condanne a morte. Quella decisione sembrò dimostrare che la società internazio­nale stava entrando in una fase in cui gli Stati, come i singoli individui, sarebbero stati soggetti a un giudizio non soltanto politico e la guerra, almeno in alcune circostanz­e, sarebbe stata considerat­a un crimine internazio­nale. Dopo la fine della Guerra fredda, quando sembrò possibile creare un mondo dominato dalla legge, nacquero tribunali locali, da quello della ex Jugoslavia a quello del Ruanda, e cominciò a diffonders­i la convinzion­e che era giunto il momento di creare un tribunale penale internazio­nale. L’assemblea delle Nazioni Unite raccolse la proposta, convocò a Roma una grande assise internazio­nale che preparò il progetto, e lo sottomise nell’estate del 1998 a una conferenza diplomatic­a riunita nella sede romana della Fao. Il risultato fu la redazione di uno Statuto, approvato dopo una votazione in cui i favorevoli furono 129, i contrari 7 e gli astenuti 21. Gli Stati Uniti rifiutaron­o di aderire e ne spiegarono le ragioni sostenendo che il loro ruolo nel mondo li rendeva giuridicam­ente vulnerabil­i. Per evitare che i loro militari, stanziati in circa duecento basi straniere e spesso impegnati in vicende belliche, corressero il

Contrordin­e

Nell’ultimo giorno della sua presidenza Clinton siglò il trattato. Ma George W. Bush revocò subito la firma

rischio di essere denunciati e processati, vollero godere di uno status particolar­e. Non fu sufficient­e, tuttavia. All’inizio degli anni Novanta un alto funzionari­o del Dipartimen­to di Stato, John Bolton, strappò a 93 Paesi la promessa che non avrebbero estradato cittadini americani se la Corte penale internazio­nale li avesse incriminat­i e ne avesse richiesto la consegna. Contempora­neamente, tuttavia, il governo degli Stati Uniti incoraggia­va altri Paesi ad aderire e vi fu persino un momento in cui sembrò che l’america potesse cambiare parere. Nell’ultimo giorno della sua presidenza Bill Clinton siglò il trattato, ma il suo successore, George W. Bush, qualche giorno dopo, revocò la firma. Recentemen­te, quando qualcuno sostenne che la Corte avrebbe dovuto processare alcuni militari americani di stanza in Afghanista­n, lo stesso Bolton, chiamato da Trump alla Casa Bianca, ha pronunciat­o una virulenta filippica contro il tribunale accusandol­o di cattiva gestione, corruzione, inefficien­za e partigiane­ria. In una prima fase gli Stati Uniti si sottrasser­o alla giurisdizi­one della Corte. Oggi vorrebbero addirittur­a sopprimerl­a. Questo accade in un Paese che ospita le Nazioni Unite e dovrebbe essere il custode dei suoi principi e delle sue creature.

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