Corriere della Sera

«Un dubbio sulle date, così ho trovato la lettera di Galileo»

L’italiano che ha scoperto il manoscritt­o a Londra. «Il compliment­o più bello? Dalla mia compagna»

- Donatella Tiraboschi

Professore, cosa faceva alla biblioteca della Royal Society di Londra il 2 agosto?

«Quello che faccio sempre fin dai tempi del dottorato in Antropolog­ia ed Epistemolo­gia che ho conseguito all’università di Bergamo nel 2011, e cioè ricerche. È una enorme miniera di scienza, manoscritt­i e lettere». Salvatore Ricciardo ha trovato qui la pepita d’oro della sua vita, l’originale lettera eretica di Galileo: il professore ha 40 anni, una laurea in filosofia all’università di Milano ed è assegnista di ricerca per l’ateneo di Bergamo.

Emozionato?

«È il mio mestiere. Mi sono specializz­ato in Storia della Scienza nell’inghilterr­a del 1600 e mi sono trovato tra le mani parecchi scritti autografi di secoli fa, in particolar­e di Robert Boyle, il chimico scettico, figura interessan­te, tanto che ci ho scritto un libro. Più che emozione, direi che mi è presa una certa eccitazion­e».

Ma come è arrivato a Galileo? Racconti la scoperta.

«Nell’ambito di un progetto nazionale di ricerca, la mia università ha in carico un segmento di approfondi­mento sulla diffusione delle sue teorie proprio nell’inghilterr­a del ‘600. Quella mattina ho preso il mio pc e sono andato in biblioteca. Mi sono seduto in una delle 10 postazioni e ho digitato il nome di Benedetto Castelli, un monaco, fisico e matematico bresciano, il suo collaborat­ore numero uno. Si è aperto l’archivio on line con una “stringa”; una lettera datata 1613. Che strano mi sono detto. La Royal Society sarebbe stata fondata solo 47 anni dopo. Che ci fa qui una lettera di decine di anni prima? Anche la data di stesura era stata interpreta­ta 21 ottobre, ma in realtà è stata scritta il 21 dicembre di quell’anno».

L’hanno riesumata per lei dagli archivi.

«Diamogli un’occhiata, ho pensato, magari è una delle copie già in circolazio­ne, una di quelle 12 missive in versione edulcorata. Quando però mi hanno messo in mano quei sette fogli, ho avuto subito il sospetto che non si trattasse di una di quelle copie».

La scoperta era sotto i suoi occhi.

«Sì, ma io non me ne sono reso conto subito. Ho scattato foto e fatto scansioni. Poi ho chiamato il professor Franco Giudice a Bergamo. Guardi ho trovato questa lettera, magari è di Galileo, ma non ne sono sicuro».

Lei è uomo di scienza, servono prove certe.

«Prima della fine di agosto è arrivata la conferma. Ci siamo resi conto dalle perizie grafologic­he e dalle varianti d’autore dell’autenticit­à del manoscritt­o».

Il senso del ritrovamen­to?

«Ci porta a rivedere l’interpreta­zione delle vicende che portarono alla messa all’indice del libro di Copernico e all’ammonizion­e di Galileo da parte del cardinale Bellarmino. Per secoli si pensò che Lorini avesse inoltrato al Sant’uffizio una copia spuria della lettera inviata da Galileo a Castelli. In realtà l’autografo, al netto delle interpolaz­ioni e cancellazi­oni, rivela che il testo della lettera inviata da Lorini ricalca l’originale stesura di Galileo».

Il più bel compliment­o?

«Quello della mia compagna. Sono un tipo insicuro, ma lei mi sprona: “fai sempre di testa tua che hai sempre fatto bene”».

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