Il rito di guardare una stagione in pochi giorni (o in una notte): l’abbuffata dà più gratificazione ma il sonno e il metabolismo? Il segreto per riuscire a fermarsi è interrompere gli episodi a metà
Quando si chiamavano telefilm, «la puntata» si aspettava per una settimana, oggi c’è chi guarda l’intera stagione di una serie tv in una notte e si sveglia a pezzi per «binge watching», che sta per «abbuffata di serie televisive», neologismo inserito nell’oxford Dictionary nel 2013.
Era l’anno in cui Netflix dichiarava che gli abbonati impiegavano in media quattro giorni a consumare una stagione di Breaking Bad. Tutto è cambiato nel modo di vedere la tv proprio quando Netflix ha esordito rilasciando le stagioni in un colpo e senza spot, consentendoci di guardare tutto Stranger Things e, nel mentre, dimenticarci che esiste un mondo là fuori.
Ora, le serie complete si trovano ovunque, su Sky, Infinity, Amazon, Raiplay... È lo spirito di tempi da «tutto e subito». Sul Washington Post, la firma di economia e politica Jeff Guo confessò di aver visto Il Trono di Spade in via accelerata, col fast forward. Il critico tv del Guardian Stuart Heritage se l’è presa con chi giudicava Gypsy e Seven Seconds troppo lunghe per essere viste in una seduta e si è scagliato contro «la gratificazione immediata», ricordando che «abbiamo bisogno, a volte, di fermarci e pensarci su».
Macché, uno studio della Syracuse University ha provato che la gratificazione è più forte se si fa l’abbuffata. Sarà per la maggior immersione emotiva, sarà che in mezzo non ci mettiamo distrazioni. In quest’era che Aldo Grasso, nel suo La nuova fabbrica dei sogni. Miti e riti delle serie tv americane (Il Saggiatore, 2016), ha definito «la Golden Age della serialità televisiva», fermarsi è esattamente il problema.
Gli episodi sono scritti per impennare la tensione alla fine e spingerci a voler sapere come continua la storia. Rob Potter, direttore dell’istituto di ricerche sulla Comunicazione dell’università dell’indiana, ha spiegato all’huffpost che «il cervello è cablato ai meccanismi di sopravvivenza. Nella savana stavamo all’erta temendo i predatori, ora, finché qualcosa sullo schermo si muove, restiamo sul divano». Accade anche altro al cervello guardando Designated Survivor. Spiega al Corriere il neurochirurgo Giulio Maira: «La percezione visiva attiva il lobo occipitale e, se lo spettacolo ci piace, si attiva la dopamina, che media il piacere e che, in eccesso, manda in tilt le aree frontali del ragionamento, come quando ci s’innamora, riducendo la razionalità e spingendoci a ripetere l’esperienza gradevole». Un celebre studio, uscito nel 2016 su Jama Psychiatry e che ha monitorato tremila persone anche per 25 anni, ha concluso che chi ha guardato molta tv ha risultati peggiori Il tempo medio in cui gli spettatori guardano una stagione di Breaking Bad Perché non resistiamo alle serie tv Lesley Henderson ha osservato smi con analogie di interessi». che le serie sui disturbi Pira osserva anche che è mentali aiutano gli spettatori sparito il rito di guardare la tv a comprendere il loro disagio. in famiglia, ognuno si fa la sua tv sul suo dispositivo. È
Spiega al Corriere il sociologo «la fine della famiglia», stando Francesco Pira, docente a un titolo del quotidiano nei test cognitivi. Non tutti, Mondadori, 2016) che questa propri problemi grazie a una di Comunicazione all’università inglese The Guardian. Gli italiani però, ritengono che l’eccesso tv densa di temi contemporanei serie. L’influencer Lauren Rearick di Messina, «oggi, per (dati del Report Ericsson di televisione istupidisca. rende più intelligenti, perché ha scritto che ha compreso dirla con Bauman, la tv è collegata 2016) guardano 5 ore al giorno
Il divulgatore scientifico impone il confronto con la sua depressione più al nostro “giardino perfetto”. di tv, di cui il 40 per cento americano Steven Johnson ha complessità nuove. Blog e social guardando You’re the Worst Con un abbonamento a on demand. Sono spesso ore sostenuto in un libro (Tutto sono pieni di persone che che in dieci anni di malattia. E basso costo e un hashtag su rubate al sonno, con effetti su quello che ti fa male ti fa bene, sostengono di aver capito i una ricerca della sociologa inglese Twitter si entra in microcometabolismo, stanchezza, insonnia. Uno studio belgaamericano del 2017 ha certificato che «alle sbornie tv si associa qualità peggiore del sonno nel 32,6 per cento dei casi». E che «le abbuffate inducono di più all’identificazione coi personaggi».
Chi fa scorpacciate sa che gli può capitare di assumere modi e battute dell’eroe prediletto, o dopo Black Mirror, di vedere pericoli dappertutto. «Pensare come la regina Elisabetta in The Crown può considerarsi normale se non ci rovina la vita», avvisa lo psichiatra e terapeuta Paolo Giovannelli, direttore dell’esccenter for Internet Use Disorders di Milano e docente alla Statale. «Frequentare un personaggio più di tre ore a settimana può creare confusione identitaria e, dopo otto ore di visione, contaminati da emozioni via schermo, non scriverei una mail di lavoro né affronterei discussioni coi familiari». Ci sarebbe, poi, anche la depressione da fineserie, il lutto per l’addio ai personaggi. Il New York Times l’ha battezzata «Post-binge-watching Blues».
Anche se in America alcuni Rehab come la Restart di Fall City propongono soggiorni De-tech da serie televisive, l’organizzazione mondiale della Sanità non classifica disturbi da fiction tv. Spiega Giovannelli: «L’abuso non è una dipendenza in sé, ma si ascrive all’isolamento sociale e può essere la spia di un problema affettivo o personale». Il trucco per fermarsi in tempo, spiega lui, è guardare gli episodi da metà a metà, mollando nella fase di stanca che precede il «cliffhanger» finale, quel colpo di scena che ci risucchia nella puntata successiva. La regola aurea è che «guardare una serie non deve lasciare sensi di colpa, ma lasciare leggeri».