L’EUROPA TERRENO DI CONTESA
Si ricorre con più frequenza alle analogie storiche quando i tempi si sono fatti confusi, quando svaniscono i punti di riferimento tradizionali, quelli che in precedenza usavamo per interpretare il mondo. Si ricercano, nella storia passata, momenti e situazioni paragonabili, per quanto è possibile, alle circostanze presenti. Nella speranza di trovare una bussola che aiuti noi a orientarci. Poniamo che Steve Bannon, ex sodale di Donald Trump e teorico del nazional-populismo, e il suo progetto (quella che sembra a molti di noi una distopia, un’utopia negativa) di una Europa riconsegnata alla competizione fra Stati di nuovo pienamente sovrani, vincano. Poniamo che nelle prossime elezioni per il Parlamento europeo salti il banco, che ci sia il preannunciato boom elettorale dei nazionalpopulisti. Poniamo che cresca il condizionamento esercitato sui governi tedeschi da Alternativa per la Germania, movimento anti stranieri (e anti Europa), oggi terzo partito al Bundestag, che in Francia il declino del consenso popolare per Macron renda di nuovo credibile la sfida lepenista, che in Italia i nazional-populisti oggi al governo mettano radici, che movimenti simili continuino a rafforzarsi ovunque. L’unione Europea, lungi dal superare l’attuale crisi, avrebbe poche possibilità di riprendersi. Immaginiamo, infine, che i legami inter-atlantici (anche causa la riconferma di Trump, fra due anni, per un secondo mandato presidenziale) continuino a logorarsi.
Iventi di guerra nel Movimento 5 Stelle contro la struttura tecnica del ministero dell’economia non hanno cambiato granché. Al massimo, hanno trincerato ciascuna delle parti sulle proprie posizioni. Il ministro Giovanni Tria sembra ancora deciso a presentare una legge di Stabilità con l’obiettivo di un deficit non oltre l’1,6% del Prodotto lordo (Pil) per il 2019, perché questa resta l’unica strada in grado di garantire che non ci sia uno scontro istituzionale con la Commissione Ue. Quello è l’unico livello di disavanzo al quale si può ottenere un calo anche minimo del deficit «strutturale», lo zoccolo duro del bilancio al netto delle fluttuazioni transitorie. I mercati accetterebbero anche un risultato meno stringente, ma per l’unione Europea resta l’obiettivo che il premier Giuseppe Conte ha accettato senza riserve a giugno: un calo del deficit «strutturale» dello 0,6% del Pil per il 2019. Quello è l’impegno che il presidente del Consiglio ha sottoscritto al Consiglio europeo e su quel metro sarà giudicato il bilancio dell’italia. Nessuno prevede che venga rispettato in pieno, ma un passo in quella direzione resta necessario anche perché a Bruxelles e nelle altre capitali europee l’interesse politico a piegare le regole a favore dell’italia sta evaporando. Se la Commissione Ue respingesse la legge di Stabilità del governo Conte, è vero, M5S e Lega farebbero di quella rottura uno strumento di campagna elettorale in vista delle Europee. Ma se Bruxelles si piegasse anche a una forzatura da parte di Roma, di fatto darebbe ragione ai metodi di un governo che scarica sull’europa ogni sorta di accuse. Nessuno ha dimenticato il giorno in cui il vicepremier Matteo Salvini accusò l’ue persino per il crollo del ponte di Genova. E molti hanno voglia di far capire che questa retorica, alla fine, non funziona.