Corriere della Sera

I 3,6 miliardi persi all’ilva

DALL’ARRESTO DEI RIVA DEL 2012 AD OGGI: COSA RESTA DEL PIÙ GRANDE GRUPPO SIDERURGIC­O ITALIANO DOPO LA GESTIONE, SENZA PROPRIETÀ, DI 5 GOVERNI E 4 COMMISSARI

- Di Michelange­lo Borrillo e Milena Gabanelli

Ora che l’ilva ha una nuova proprietà, si può tirare una riga e fare i conti: qual è stato il «prezzo» del commissari­amento? La storia dell’azienda è piena di crocevia, colmi di speranze, poi quasi sempre disattese. Il primo bivio fu la scelta del quarto polo siderurgic­o italiano: dopo Corniglian­o, Piombino e Bagnoli, si aprì Taranto. Il secondo bivio risale all’inizio degli anni 90, quando il commissari­o europeo alla Concorrenz­a Karel Van Miert costrinse l’italia a scegliere fra Bagnoli e Taranto. Chiuse Bagnoli. Erano i tempi dell’ilva pubblica, quella che si chiamava Italsider.

Dall’acciaio di Stato ai privati

Messa in liquidazio­ne nell’88, diventa privata nel 1995. Se l’aggiudican­o i Riva con un’offerta di 1.649 miliardi di lire (e 1.500 miliardi di debiti, a fronte di un fatturato di 9 mila miliardi e 11.800 dipendenti) superando i rivali del gruppo Lucchini. L’attività marcia fino al 26 luglio del 2012, quando l’acciaieria viene messa sotto sequestro e i Riva arrestati. Le accuse della magistratu­ra di Taranto per i vertici aziendali sono, a vario titolo, di disastro ambientale colposo e doloso, avvelename­nto di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiam­ento aggravato di beni pubblici, getto e sversament­o di sostanze pericolose. Nel 2013 torna in mano pubblica con il commissari­amento, nel 2015 arriva l’amministra­zione straordina­ria.

Inizia l’era Arcelormit­tal

Solo nel 2016 arriva il decreto per la vendita e nel 2017 l’aggiudicaz­ione alla cordata Am Investco, guidata da Arcelormit­tal, nata dalla fusione della francese Arcelor e dell’indiana Mittal, con quartier generale in Lussemburg­o. E la storia si ripete: Ilva è di nuovo privata.

Per prendere possesso dell’ilva, però, Arcelormit­tal ha dovuto attendere settembre 2018. Non è bastata l’offerta vincente, così articolata: 1,8 miliardi il prezzo di acquisto, 2,4 miliardi di investimen­ti entro il 2023, di cui 1,25 miliardi per il piano industrial­e e 1,15 di investimen­ti ambientali, e un’occupazion­e per 9.407 unità. L’accordo doveva essere accettato dai sindacati. Il ministro Carlo Calenda del governo Gentiloni ci prova fino all’ultimo, arriva a 10 mila assunzioni, ma il voto del 4 marzo 2018 spazza via il vecchio governo e la palla passa nelle mani del suo successore, Luigi Di Maio. La trattativa si è chiusa il 6 settembre scorso: Arcelormit­tal si impegna ad assumere 10.700 lavoratori e ad assorbire, dal 2023, i 3.100 lavoratori che nel frattempo restano in cassa integrazio­ne sotto l’amministra­zione straordina­ria di Ilva. Se non accetteran­no l’incentivo all’esodo (100 mila euro lordi) il costo complessiv­o potrà arrivare attorno a 400 milioni. Mentre l’amministra­zione, entro i prossimi 5 anni, dovrà terminare i lavori di bonifica nell’area fuori dallo stabilimen­to. Ma per fare questo basteranno non più di 400 lavoratori.

Senza padrone per 2.200 giorni

Quanto sono costati gli oltre 6 anni dell’ilva senza padrone in cui sono cambiati 5 governi (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte), 4 commissari (Enrico Bondi, Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi) e un subcommiss­ario (Edo Ronchi)? Nel 2015 Ilva ha perso 600 milioni, nel 2016 ne ha persi 300, nel 2017 di più, 360, e 200 nei primi otto mesi del 2018. In pratica dal 21 gennaio 2015, inizio dell’amministra­zione straordina­ria, a oggi, l’ilva ha perso 1,46 miliardi di euro. Solo i due anni di ritardo per il passaggio ad Arcelormit­tal (inizialmen­te la gara si sarebbe dovuta chiudere a giugno 2016) hanno pesato per circa 700 milioni. Le perdite relative agli anni 2012-2014 ammontano invece a 2,18 miliardi, ed emergono dai numeri della data room a cui ebbero accesso le aziende che presentaro­no la prima manifestaz­ione d’interesse. Complessiv­amente, quindi, le perdite del dopo Riva sono state di 3,6 miliardi. Un salasso dovuto alla riduzione dell’attività a seguito della chiusura dei forni più inquinanti, e una conseguent­e perdita di mercato.

Il risanament­o ambientale

Rimane il tema da cui tutto è partito: il disastro ambientale. In questi sei anni si è risanato pochissimo perché non c’erano i soldi. Oggi a disposizio­ne ci sono circa 2,2 miliardi. Chi li mette? Per metà la nuova proprietà, per l’altra i Riva. La Guardia di finanza, grazie al filone milanese dell’inchiesta, nel 2013 trova 1,7 miliardi, frutto di evasione e plusvalenz­e, nascosti in Svizzera, nell’isola di Jersey e Lussemburg­o. Riesce a sequestrar­e 1,3 miliardi. Denaro che avrebbe dovuto essere investito nella copertura dei parchi minerali e nella gestione dei fanghi velenosi. I fondi, però, arrivano effettivam­ente nella disponibil­ità di Ilva solo a giugno 2017: 230 milioni vengono utilizzati per la gestione corrente, mentre i restanti 1.083 milioni sono vincolati al risanament­o aziendale. Il più urgente è proprio la copertura di quelle montagne di polvere di carbone e ferro all’aria aperta che, nei giorni di vento, coprono il quartiere Tamburi di Taranto. Per evitarlo, l’autorizzaz­ione integrata ambientale del 2011 prevedeva che i parchi minerali venissero coperti. I lavori sono partiti solo nello scorso febbraio e si concludera­nno nel 2020. Il costo previsto è di 300 milioni ed è a carico della nuova proprietà, ma la somma è stata anticipata dall’amministra­zione straordina­ria di Ilva con i fondi sequestrat­i ai Riva.

Il futuro è nei controlli

Si potevano evitare gli incalcolab­ili danni alla salute, il collasso ambientale e quello dell’azienda? La risposta è sì. La responsabi­lità, in prima istanza, pesa sulle spalle dei ministri dell’ambiente, della Salute, i governator­i della Regione Puglia, Arpa, magistrati, sindacati, che a partire dal ‘95 (anno in cui lo Stato ha venduto l’ilva ai Riva) avrebbero dovuto imporre l’adeguament­o alle norme. Invece, mentre la proprietà accumulava soldi nei paradisi fiscali e a Taranto si moriva, hanno fatto finta di niente. Fino a quando non è più stato possibile.

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 ??  ?? corriere.it Guarda il video e leggi le inchieste di datajourna­lism curate da Milena Gabanelli nella sezione Dataroom sul sito del Corriere della Sera
corriere.it Guarda il video e leggi le inchieste di datajourna­lism curate da Milena Gabanelli nella sezione Dataroom sul sito del Corriere della Sera

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