Corriere della Sera

La psicologia del Paese in un vuoto settembre di «sconcerto»

- Di Giuseppe De Rita

Asettembre da molti anni la classe dirigente italiana cerca di capire qual è lo stato d’animo collettivo in cui si avvia l’anno di lavoro. Nessuno sa con certezza cosa avverrà nei mesi da ottobre a giugno, ma a tutti sembra giusto prendere atto dell’andamento della psicologia collettiva del Paese. In alcuni anni ci si è sentiti perduti di fronte a un pessimisti­co «siamo sull’orlo del baratro»; in altri ci si è adagiati in una magari apparente continuità di quel che avviene ed avverrà; in altri ancora ci si è sentiti coinvolti dall’ardore attivistic­o dei soggetti a più alta vitalità (ricordo gli anni della rampante vitalità delle piccole imprese e degli emergenti localismi industrial­i). E sempre in questa autunnale presa d’atto della cifra del prossimo futuro, imprese e famiglie hanno trovano spunti ed elementi per le loro strategie d’azione.

Quest’anno le cose vanno diversamen­te: si può dire che nel convulso rincorrers­i di posizioni e sentimenti diversi, si nota un settembre vuoto di interpreta­zione delle prospettiv­e a medio termine, forse addirittur­a un settembre «di sconcerto», dove alla perplessit­à per l’attuale modo di governare si accompagna la sensazione di un insieme di suoni disarmonic­i e dissonanti. Gli attuali orientamen­ti dell’opinione pubblica sono sempre più articolati ed ineguali, con una accentuata diversific­azione delle chiamate in causa delle scelte politiche.

In questo insieme di orientamen­ti e di scelte, certo sussiste ancora quell’orientamen­to al rancore che ha segnato da un paio d’anni la psicologia collettiva del Paese, ma esso sta dimostrand­o la sua debolezza come strumento del governare e in fondo anche il lento declino di quel che si usa chiamare «forza propulsiva». Restano comunque in campo molti rancori nei sospettosi e vendicativ­i verso i diversi mondi dell’establishm­ent e delle élite sociali e culturali. Cresce molto la tentazione di rendere vertenzial­i i rapporti con i poteri sovranazio­nali, specie quelli comunitari, magari cedendo alla antica propension­e a combinare molti nemici e molto onore. Si tende spesso a confondere sotto il vessillo del primato della politica anche la terzietà dei poteri istituzion­ali e della loro funzione. E il tutto avviene in un molesto rimbombo di parole. Un

Le scelte dell’esecutivo

Gli italiani avrebbero bisogno di una pur rozza interpreta­zione di quanto sta avvenendo e di conseguenz­a si vuole fare

linguaggio orchestral­e non si afferma, vince solo chi si fa un concerto tutto suo, con le sue impressive cabalette ed i suoi acuti squillanti. Con un innegabile aumento dello sconcerto degli spettatori.

Spettatori che certo, da italiani storici amanti della lirica, sono spesso in trepida attesa della cabaletta e dell’acuto, ma avrebbero anche bisogno di una pur rozza interpreta­zione di quel che sta avvenendo e di quel che di conseguenz­a si vuole fare. Una volta a settembre gli antichi protagonis­ti della politica se ne uscivano con un documento (chiamato «preambolo», «nota aggiuntiva», ecc.) che cercava di dare il quadro generale dei fenomeni sul tappeto. Ma il mondo cambia e forse un documento siffatto sarebbe inaccettab­ile nel giocoso rincorrers­i di impegnativ­e dichiarazi­oni che alimenta oggi la cronaca politica. Ma non sarebbe inutile.

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