Corriere della Sera

Il Papa prega per gli ebrei uccisi a Vilnius «Mai più»

- DAL NOSTRO INVIATO Gian Guido Vecchi

VILNIUS Al numero 18 di via Rudninku c’è un caffè, tra due finestre una lapide scolorita con incisa la pianta di un vecchio quartiere e una ventina di sassolini posati sul bordo. Chi non la cerca passa oltre, come davanti alla piccola stele ai margini del giardino di fronte, le sole tracce a segnalare che qui c’era il Grande Ghetto — quarantami­la persone — liquidato dai nazisti il 23 settembre 1943. Prima di scendere nei sotterrane­i della prigione del Kgb, le stesse celle già usate dalla Gestapo, Francesco si ferma e depone un mazzo di rose gialle, resta due minuti a pregare in silenzio. L’europa deve stare attenta ai ritorno dell’antisemiti­smo, il Papa lo ha detto poco prima: «Facciamo memoria di quei tempi, e chiediamo al Signore che ci faccia dono del discernime­nto per scoprire in tempo qualsiasi nuovo germe di quell’atteggiame­nto pernicioso, di qualsiasi aria che atrofizza il cuore delle generazion­i che non l’hanno sperimenta­to e che potrebbero correre dietro quei canti di sirena».

Vilnius era la «Gerusalemm­e del Nord», si parlava yiddish, il 96 per cento dei 200 mila ebrei lituani fu sterminato. La presidente degli ebrei italiani Noemi Di Segni e rappresent­ati dell’ebraismo locale avevano scritto al Papa per chiedere un «gesto di attenzione». E Bergoglio ha scandito quelle parole davanti a centomila persone, nell’angelus dopo la prima messa nei Paesi balcanici, a Kaunas. Dalla periferia del Vecchio Continente, Francesco esorta l’europa a fare memoria del passato per non ripetere le tragedie. L’invasione nazista, l’oppression­e sovietica, il «delirio di onnipotenz­a». Già sabato esortava a «ospitare le differenze» contro il virus totalitari­o che vuole «annullare il diverso». Nel palazzo del Kgb, il Papa entra nelle celle 9 e 11, accende un cero e prega per le vittime, compresi quattro vescovi, guarda commosso la sala delle esecuzioni. I ghetti, la Siberia. «Che il tuo grido, Signore, ci liberi dalla malattia spirituale da cui, come popolo, siamo sempre tentati: dimenticar­ci dei nostri padri, di quanto è stato vissuto e patito».

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Testimonia­nza Papa Francesco a Vilnius

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