Corriere della Sera

UNA TERRA DI CONTESA

- Di Angelo Panebianco

Se quanto detto sopra si realizzass­e, a quale costellazi­one storica del passato dovremmo riferirci per tentare di comprender­e la nuova situazione europea?

Possiamo azzardare che in tal caso l’europa si troverebbe in una condizione paragonabi­le a quella dell’italia nella prima metà del Cinquecent­o: nell’arco di tempo che va dal 1494, anno della calata in Italia del re di Francia Carlo VIII, al 1559, anno del trattato di pace di Cateau-cambrésis. Per tutto quel periodo, con brevi tregue, Francia e Spagna (Francia e Impero asburgico sotto Carlo V dal 1519 al 1556) si disputaron­o il controllo dell’italia. La contesa finì nel 1559 con il trionfo della Spagna che si assicurò, dal Regno di Napoli a Milano, l’egemonia su gran parte della Penisola.

L’italia dopo il 1494 era diventata terreno di contesa fra le potenze europee perché aveva due caratteris­tiche (che si ritrovano anche nell’europa di oggi): era ricca di risorse e di prestigio ed era politicame­nte frammentat­a, divisa fra Stati rivali, incapaci di fare fronte unico contro gli appetiti di quelle potenze. In un’opera classica dedicata alla «Storia delle repubblich­e italiane» del 1832, lo storico ed economista Sismondi scrive: «Alla fine del secolo XV i signori delle nazioni francese, tedesca e spagnola furono tentati dall’opulenza meraviglio­sa dell’italia, dove il saccheggio di una sola città prometteva loro a volte più ricchezze di quante ne potessero strappare a milioni di sudditi. Con i più vani pretesti essi invasero l’italia che, per quaranta anni di guerra, fu di volta in volta devastata da tutti i popoli che poterono penetrarvi. Le esazioni di questi nuovi barbari fecero infine scomparire l’opulenza che li aveva tentati».

Consideria­mo ora il caso di una possibile Europa «disfatta»: fine dell’egemonia statuniten­se, fine dell’integrazio­ne europea, ritorno pieno a un’europa di Stati nazionali non più vincolati – come fino ad oggi è stato – da quella egemonia e da quella integrazio­ne.

Immaginiam­o la situazione più rosea, uno scenario in cui siano assenti, a differenza di quanto accadde nell’italia del Cinquecent­o, conflitti armati (anche se sappiamo che lungo la frontiera fra i Paesi della Nato e le zone di influenza russa potrebbero prima o poi scoppiare gravi incidenti). L’europa diventereb­be comunque terreno di contesa fra grandi potenze. La prima ad avvantaggi­arsi dal declino dell’egemonia statuniten­se e dal contestual­e arresto del processo di integrazio­ne europea sarebbe ovviamente la Russia (che, insieme a certi suoi amici europei, sta già lavorando attivament­e per quel risultato). Punterebbe a sostituire gli Stati Uniti nel ruolo di lord protettore dell’europa. «Poco male» dicono coloro che non capiscono quali effetti avrebbe sulle società di cui fanno parte, e sulle loro stesse vite, il passaggio dall’egemonia di una potenza democratic­a e liberale a quella di uno Stato illiberale. Figuratevi un po’: gli esperti di Russia pensano che Putin sia il meglio che ci sia oggi su piazza da quelle parti. I suoi successori, per propension­i autoritari­e e vocazione imperialis­ta, saranno, verosimilm­ente, peggiori.

Ma la Russia non avrebbe campo libero. Incontrere­bbe ostacoli nell’azione delle altre grandi potenze. Anche se politicame­nte ridimensio­nati, non più in grado di esercitare un’incontrast­ata egemonia, gli Stati Uniti, di sicuro, non abbandoner­ebbero del tutto il campo: cercherebb­ero comunque di contrastar­e la pressione russa sull’europa. C’è poi la Cina con le sue ambizioni imperiali, la nuova Via della Seta e tutto il resto, con i suoi investimen­ti massicci, oltre che in Asia e in Africa, anche nel Mediterran­eo e in Europa.

La ricca e divisa Europa diventereb­be la posta di una competizio­ne (si spera, per lo meno, pacifica) fra le grandi potenze di oggi. In un’europa divisa si riaccender­ebbero molte rivalità, fino ad ora (dopo il 1945) solo sopite: forse il braccio di ferro fra Italia e Francia sulla Libia preannunci­a una nuova fase di tensioni fra europei per le questioni più disparate.

A sua volta, la ripresa delle tensioni facilitere­bbe, soprattutt­o nei Paesi europei meno coesi e con le istituzion­i più deboli, la formazione di fazioni – partiti o correnti di partito – legate a filo doppio all’una o all’altra delle grandi potenze rivali. Per non parlare del fatto che in una Europa divisa, e terra di immigrazio­ne dal Medio Oriente, aumentereb­bero ancor di più la presenza e la capacità di influenza di alcune potenze (autoritari­e) mediorient­ali.

Le élite europeiste o cosmopolit­e che pensavano che in Europa lo Stato nazionale fosse ormai «superato» hanno commesso gravi errori. Hanno facilitato la reazione detta sovranista. Della perdurante vitalità degli Stati nazionali l’europa deve tenere conto. Ma gli europei che subiscono il fascino del richiamo nazional-populista dovrebbero considerar­e quale prezzo pagheremmo tutti se quel progetto si realizzass­e.

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