La magnifica ossessione di Victor: diventare ballerina oltre il corpo
Storia senza drammi di un ragazzo deciso a trasformare la propria identità
Diventare donna e diventare una ballerina classica. Questi le due ambizioni di Lara, che però è nata Victor e per realizzare i suoi sogni deve superare ostacoli che non dipendono solo dalla sua volontà. Opera prima di un regista ventisettenne (ma quando ha iniziato a lavorare al film, grazie alla Cinéfondation del Festival di Cannes, ne aveva venticinque), Girl del belga Lukas Dhont ha la forza e la purezza di un’ossessione, di una passione che vuole andare diritta al suo scopo senza perdersi per altre strade. Un amore assoluto, che altrove avrebbe preso la forma di un melodramma straziante e che invece qui viene depurato di tutti i possibili «accidenti» (a volte il film avanza con l’ineluttabilità di un ragionamento filosofico, con l’implacabilità di un teorema di matematica) e lascia lo spettatore solo e senza difese di fronte a questa inedita «magnifica ossessione».
Lara ha un fratellino che l’adora e un padre che più comprensivo non si potrebbe. Li vediamo andare insieme dalla dottoressa che la guida nel modificare il suo sviluppo puberale, dal chirurgo che interverrà sul suo corpo, dallo psicologo che la segue in questa delicata fase dello sviluppo. La sua trasformazione da ragazzo a ragazza non solo non stupisce nessuno della famiglia (assistiamo anche a un paio di allegre cene conviviali) ma è dato come acquisito. Che nessuno si sogna di mettere in discussione. Hanno anche cambiato casa per essere più vicini alla scuola di ballo che Lara vuole frequenginaria. tare, dove la vediamo esercitarsi anche da sola per raggiungere il livello di preparazione delle altre allieve, aiutata da una insegnante che si preoccupa solo dei suoi esercizi, non del suo sesso.
In altri film, per esempio l’argentino XXY o l’italiano Arianna o il francese Tomboy, la sceneggiatura seguiva i conflitti che un’identità sessuale non ancora definita doveva affrontare. In Girl nessuno mette in discussione le scelte della protagonista, né a scuola (dove le compagne non si imbarazzano perché utilizza lo spogliatoio femminile) né a lezione di ballo, dove tutte le sue compagne conoscono la sua sessualità ori- Anche la dottoressa curante sa del modo in cui «nasconde» il proprio sesso maschile utilizzando dolorosi cerotti.
A fare la forza straordinaria di questo film è solo il rovello di Lara, la lotta di lei con il suo corpo ancora maschile, di lui con la sua voglia di corpo femminile e di tutti e «due» con la lentezza con cui il corpo sembra adattarsi alla prevista evoluzione. Scena dopo scena, esercizio dopo esercizio (dove costringe il fisico a prove sempre più dure, fino a sanguinare) lo spettatore si ritrova alla fine a fare i conti con qualcosa che non può più essere imputato alla medicina o alla società o alla cultura, ma solo ed esclusivamente ai fantasmi che lei si porta dentro. Lukas Dhont (e il suo co-sceneggiatore Angelo Tijssens) costringono a fare i conti con qualcosa di sfuggente e indefinibile eppure preciso e concretissimo: l’impossibilità di vivere con il corpo ricevuto per nascita. L’impossibilità di riconoscersi nella sessualità che i geni hanno trasmesso.
Per questo evocavo prima paragoni con la filosofia o la matematica, perché il dramma di Lara è qualcosa di assolutamente astratto, «teorico», liberato da ogni tipo di condizionamento sociale: come sottolinea anche l’insolito ricorso a un formato ristretto (il mascherino 1.66, leggermente rettangolare, invece del più tradizionale e più allungato 1.85), come se il film volesse «imprigionare» il protagonista dentro le sue ossessioni, nel confronto con un corpo che cambia troppo piano rispetto alle sue voglie.
Ne esce un film insolito, in certi momenti quasi disturbante nella sua controllatissima perfezione, che non sarebbe così perfettamente riuscito se non avesse potuto contare su un interprete altrettanto perfetto, il quindicenne Victor Polser, miracolosa incarnazione di tutto quello che il film mostra e racconta e che Cannes ha giustamente incoronato come il miglior attore della sezione Un certain regard (oltre a premiare il film con la Caméra d’oro per il miglior esordio).
Il dramma di Lara è qualcosa di assolutamente astratto, «teorico», liberato da ogni tipo di condizionamento sociale