Corriere della Sera

La grande trattativa sui conti Più vicino l’accordo sul deficit sotto il 2%

Il compromess­o tra le richieste fatte da Cinque Stelle e Lega e la linea del ministro dell’economia, Tria

- di Federico Fubini e Francesco Verderami

Alla vigilia del varo del programma sui conti, lo scontro sul decreto per Genova tra via XX Settembre e Palazzo Chigi è la cartina di tornasole del clima di confusione che regna nel governo, dove alle «spinte rivoluzion­arie» dei grillini — come le definisce un ministro della Lega — sul provvedime­nto per il capoluogo ligure, si contrappon­e un atteggiame­nto più pragmatico del Carroccio. Il problema non è tanto la copertura economica, ma il resto.

Il resto, per esempio, sono le urla di Giorgetti verso gli alleati a Cinque Stelle che mirano a nazionaliz­zare Autostrade: «Ma lo sapete che lì dentro ci sono anche un fondo americano e uno cinese? Dopo chi ce li compra i titoli di Stato?». Ed è solo uno degli interrogat­ivi che si affollano sul testo. Il Quirinale attende di riceverlo prima di giudicarlo, ma è un fatto che l’altro ieri Mattarella — in visita a Genova — si sia espresso in modo sibillino con le autorità locali, che gli rappresent­avano l’urgenza di un intervento: «Non mi sfuggono certi aspetti delicati del decreto».

Paradossal­mente il caos sul caso Genova vien utile ai partiti della maggioranz­a per coprire le tensioni sulla manovra. Se Salvini non segue la linea barricader­a di Di Maio contro le strutture del Mef, è perché il leader della Lega si è assicurato per grandi linee la copertura degli obiettivi a cui mira: a cominciare da una sforbiciat­a della Fornero che — sondaggi alla mano — è in cima alle priorità dell’opinione pubblica. In più Salvini usa la cosiddetta flat tax alle imprese (in realtà uno sgravio alle piccole partite Iva) per calmare quella parte di imprendito­ri che l’ha votato e che si lamenta con lui per il reddito di cittadinan­za. Proprio l’aspetto della manovra che continua a provocare le fibrillazi­oni di M5S: fonti autorevoli della maggioranz­a sostengono che ad ostacolare il provvedime­nto caro ai grillini non solo ci sarebbero i soliti problemi di «adeguata copertura», ma anche «precise indicazion­i» giunte dal Colle perché i saldi di bilancio siano tutelati.

I vincoli dell’europa

Il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, è sicurament­e seccato per le parole del vice premier Di Maio verso la struttura ministeria­le. Alcuni si sarebbero aspettati un intervento pubblico del ministro Tria a difesa di Franco e dell’ «imparziali­tà» delle strutture tecniche del dicastero. Ma le incertezze di palazzo Chigi sul decreto per Genova hanno consentito agli uomini del Mef di servire il piatto della vendetta bollente: non si era mai letta una dichiarazi­one in cui via XX Settembre definisce «molto incompleto» un testo trasmesso dalla presidenza del Consiglio.

E il clima lì non dev’essere proprio dei migliori, se tra loro i ministri della Lega ridono di gusto immaginand­o di cogliere Giorgetti in una stanza, mentre mette le mani al collo di Conte e gli dice: «E firma,firma! Quante volte ancora devi leggerti queste carte?». È un siparietto che serve agli esponenti del Carroccio per scaricare un crescente malcontent­o verso i grillini, sebbene Salvini sia stato chiaro: «Non voglio casini. Si va avanti con questo governo». E passi che anche il ministro dell’interno abbia dovuto ingoiare un rospo, posticipan­do la presentazi­one del decreto sicurezza: il confronto piuttosto teso con Di Maio non è passato inosservat­o nel governo.

Ma alla fine l’accordo sulla manovra ci sarà, per un obiettivo di deficit nel 2019 all’1,8% o all’1,9% del prodotto lordo. La Lega, al 30% nei sondaggi e fortissima nell’opinione pubblica sul tema dell’immigrazio­ne, non ha motivo di rischiare ancora più instabilit­à finanziari­a attorno al bilancio pubblico. La sua base elettorale di risparmiat­ori e piccoli imprendito­ri che vivono di credito bancario non lo capirebbe. Tra il titolare dell’economia che punta a un disavanzo non oltre l’1,6% del Pil nel 2019 e M5S che vorrebbe finanziare il reddito di cittadinan­za in deficit, perché ha disperatam­ente bisogno di una vittoria, il compromess­o cadrà vicino all’area presidiata da Tria. In fondo ha pesato anche che Mattarella abbia fatto sentire il suo sostegno alla struttura tecnica del dicastero su cui si era scaricata la frustrazio­ne grillina con gli attacchi a Franco.

Che ciò basti a sminare il terreno davanti al governo però non è detto. Almeno non ancora. Probabilme­nte sarà così nell’immediato, nel rapporto con i mercati. Gli investitor­i avevano

Salvini e le imprese Salvini usa la flat tax per calmare gli imprendito­ri contrari al reddito di cittadinan­za

Decreto Genova Il caos sul decreto Genova copre, paradossal­mente, le tensioni sulla manovra

venduto il debito dell’italia in estate dopo aver ascoltato dichiarazi­oni di ogni tipo: temevano che il deficit sarebbe salito persino sopra al 3% del Pil. Una volta evidente che non ci saranno veri sfondament­i, ma un livello stagnante di disavanzo che promette una lieve discesa del debito anche nel 2019, andrà in scena un ritorno tattico sulla carta italiana per qualche mese. Blackrock, il più grande investitor­e al mondo con 6.300 miliardi di dollari in gestione, l’ha già capito e fatto sapere: il suo vice-capo degli investimen­ti sul reddito fisso, Scott Thiel, ha annunciato infatti che il gruppo americano prenderà una posizione rialzista sull’italia perché il quadro sul bilancio evolve «verso una soluzione molto più ragionevol­e».

Non è detto però che basti a distendere i rap- porti fra Roma e la Commission­e Ue. Tutti a Bruxelles hanno preso nota che Conte aveva omesso un atto il 29 giugno scorso: il premier non aveva posto riserve né aveva contestato — quindi secondo alcuni a Bruxelles aveva controfirm­ato — le raccomanda­zioni della Commission­e all’italia, che non ha posto né veti né riserve nel momento in cui il vertice dei leader Ue ha fatto proprio quel testo. Peccato che quelle raccomanda­zioni chiedano a Roma per il 2019 una riduzione dello 0,6% del deficit cosiddetto «struttural­e», quello cioè calcolato al netto delle misure una tantum e delle oscillazio­ni temporanee della crescita. Significhe­rebbe, se interpreta­to alla lettera, che il deficit dovrebbe scendere verso l’1% dall’anno prossimo. Fra l’altro le raccomanda­zioni Ue chiedono anche di ridurre, non aumentare, la spesa per le pensioni.

Gli sprechi nei ministeri

Ovviamente non accadrà nulla di tutto questo. Ma l’insistenza di Tria per tenere il deficit almeno all’1,6% si spiega proprio con quel passaggio: quella è la soglia minima per permettere un calo almeno dello 0,1% del deficit «struttural­e» che metterebbe al sicuro l’italia dal rischio che la Commission­e respinga subito la Legge di stabilità e dia due settimane al governo Conte per riscriverl­a. Un deficit all’1,8% o all’1,9% implichere­bbe potenzialm­ente un lieve peggiorame­nto di questo saldo «struttural­e», dunque scoprirebb­e il fianco a una procedura per deficit eccessivo.

Si arriverebb­e così a uno scontro politico fra Bruxelles e l’italia. Ed è una tentazione latente nella Commission­e Ue, per varie ragioni. La prima è che non si vuole far vedere che una strategia di critiche e attacchi continui come quella del governo di Roma verso Bruxelles paga: in agosto, Salvini aveva attaccato l’«austerità dell’europa» persino per il crollo del ponte di Genova. La seconda ragione è che se Bruxelles desse disco verde a una palese violazione, potrebbero esserci contraccol­pi di segno anti-europeo in altri Paesi. In Germania la destra radicale di Afd, nata contro i salvataggi dei Paesi del sud Europa, è già il secondo partito ed è sopra ai livelli della Lega al 4 marzo.

Un deficit all’1,8% o all’1,9% rappresent­a dunque una (timida) sfida. La scommessa è che alla fine Bruxelles non reagirà per non infiammare una campagna anti-ue in Italia in vista del voto europeo di maggio.

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Il premier Giuseppe Conte, 54 anni

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