Corriere della Sera

«Il petrolio salirà ancora»

- di Massimo Gaggi

Il petrolio continuerà a salire? «Sarebbe negativo» dice l’amministra­tore dell’eni Claudio Descalzi.

NEW YORK «Il petrolio a 100 dollari al barile? Non azzardo previsioni. Dico solo che sarebbe negativo per tutti: per i consumator­i, ma anche per noi produttori, tra instabilit­à dei mercati e prevedibil­e impatto sui consumi. E per l’ambiente, dato che, a quei livelli, molti tornerebbe­ro al carbone. Ma riconosco anche che, al di là della fiammata di ieri dopo le decisioni Opec, le condizioni di mercato possono spingere verso prezzi ancor più sostenuti».

L’amministra­tore dell’eni Claudio Descalzi incontra il Corriere dopo aver firmato un accordo con L’UNDP, il Programma di Sviluppo dell’onu, per l’estensione dell’impegno della multinazio­nale energetica nello sviluppo economico dell’africa e mentre il presidente americano Trump accusa l’opec, che ha respinto la sua richiesta di mettere più petrolio sul mercato per far calare i prezzi, dal palco dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.

Difficile capire, per il cittadino: fino a qualche tempo fa la benzina, qui negli Usa, costava mezzo dollari al litro, la metà dell’acqua minerale. Ora si torna a parlare di quota 100.

«Al di là dei numeri — alcuni di quelli che oggi vedono il petrolio a 100, qualche anno fa lo prevedevan­o a 20 — è indubbio che nel tempo si è ricreato uno squilibrio che fa salire i prezzi. Da un lato cresce la domanda legata alla mobilità e all’industria. Ma il maggior fabbisogno non viene soddisfatt­o da una maggior offerta. Anzi, gli investimen­ti nell’estrazione calano: eravamo a 800 miliardi di dollari l’anno nel 2013-14, ora siamo scesi a circa 400. Tenga conto che ne servirebbe­ro 600 solo per combattere il declino naturale dei giacimenti petrolifer­i».

Trump se la prende con l’opec, altri dicono che è anche la sua politica delle sanzioni, come quelle all’iran, a far crescere i prezzi. Ma poi, non doveva esserci un effetto-calmiere grazie alla maggior produzione Usa di shale gas?

«L’anno scorso abbiamo avuto un deficit di produzione mondiale di circa 500 mila barili al giorno in media annua. Le sanzioni all’iran potrebbero sottrarre altri 700 mila barili. L’america è ai limiti con la sua produzione e allora Trump aveva chiesto all’opec di compensare aumentando l’offerta di greggio. L’organizzaz­ione ha opposto un rifiuto che ha fatto impennare i prezzi».

La Russia ha molto bisogno di valuta, i sauditi si stanno addirittur­a indebitand­o: perché bloccare le riserve?

«Vedremo quale sarà la reazione dell’opec se i prezzi punteranno ai 90 dollari. Senza contare che prezzi più elevati rallentere­bbero lo sviluppo delle economie con danni anche per l’area Opec: quello sarà il momento della verità».

Lavorare molto in Africa vi ha creato grosse difficoltà, compresi alcuni problemi giudiziari, ma vi ha anche aperto un vasto mercato e, ora, vi consente di cogliere un ambito riconoscim­ento in sede Onu.

«Non è una questione di medaglie. Scegliendo­ci dopo una approfondi­ta due diligence, (l’analisi di chi siamo, di cosa facciamo e di come lo facciamo in quella parte del mondo), come primo partner energetico globale delle Nazioni Unite per lo sviluppo dell’africa, L’UNDP dà credibilit­à ai nostri sforzi. I problemi ai quali lei fa riferiment­o li hanno anche gli altri grandi operatori. E, comunque, sulla questione dell’algeria siamo stati assolti. Aspettiamo per il resto, e siamo fiduciosi. Intanto da parecchi anni noi investiamo in 14 Paesi africani, dall’angola alla Nigeria passando per Congo e Mozambico, con l’obiettivo di affiancare all’attività estrattiva programmi di sostegno delle economie e delle comunità locali: centrali elettriche, impianti eolici, solare fotovoltai­co per dare energia alle famiglie e alle imprese di vari Paesi. Ma anche investimen­ti in agricoltur­a e in riforestaz­ione. Fin qui abbiamo fatto tutto con le nostre risorse, salvo che nel Ghana dove c’è stato un contributo della Banca Mondiale. Il riconoscim­ento dell’onu ci apre, ovviamente, orizzonti più vasti».

E’ il modo giusto per far crescere questo continente e ridurre i flussi migratori verso l’europa? Il ministro Salvini parla di piano Africa. Chi dovrebbe farlo? Può bastare l’impegno di grandi gruppi come il suo?

«Da anni si parla di interventi per l’africa, di banche etiche, ma al dunque le risorse non arrivano. Noi abbimo fatto investendo da soli, senza aspettare crediti e risorse. Le faccio l’esempio di una regione della Nigeria, il delta del fiume Niger, dove, con un impegno iniziato a fine anni ‘80, abbiamo portato una popolazion­e di 600 mila persone a sviluppare attività agricole

Investimen­ti

Fino al 2013-2014 gli investimen­ti nell’estrazione erano di 800 miliardi di dollari, calati a quota 400 miliardi. In Libia non ci sono tensioni con Total

d L’america è ai limiti con la sua produzione e allora Trump aveva chiesto all’opec di compensare

che prima non esistevano. Una comunità che oggi produce, ha un reddito e una sua struttura sociale radicata. Servono molte di queste iniziative: un piano pubblico/privato che offra capacità di progettazi­one e costanza nell’attuazione dei programmi».

In Libia momento difficile in una crisi che si trascina da anni: oltre ai conflitti tribali vede complicazi­oni per le rivalità tra Italia e Francia? Anche voi e la francese Total in trincea?

«In Libia si deve arrivare a un’intesa interna tra fazioni. Non entro in questioni diplomatic­he, ma deve essere chiaro che tra noi e Total non ci sono tensioni: lavoriamo insieme in mezzo mondo, dalla Nigeria all’egitto, dall’angola alla Gran Bretagna. Total è già presente in Libia nel petrolio, noi soprattutt­o nel gas, con poco meno di 300 mila barili al giorno di produzione. Lavoriamo quotidiana­mente gomito a gomito, pur nello spirito di una sana concorrenz­a».

Scossoni dal nuovo governo, tra nemici dei mercati globali e nostalgici dell’industria pubblica? Gli investitor­i internazio­nali che hanno scommesso sull’eni sono allarmati?

«No, anche perché il 95% della nostra attività si svolge fuori dall’italia. Col governo abbiamo rapporti costruttiv­i, positivi, soprattutt­o con lo Sviluppo Economico per l’economia circolare e il sostegno alle energie rinnovabil­i, col ministero dell’interno per la Libia e le questioni di sicurezza, ma anche con l’economia e col ministro Savona per i rapporti con l’europa».

Il 95% della nostra attività si svolge fuori dall’italia. Con il governo abbiamo rapporti costruttiv­i

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