Lasciano i guru di Instagram Perché è così difficile lavorare con Zuckerberg?
Le dimissioni (polemiche) di Krieger e Systrom da Facebook
Aaron Sorkin ci aveva servito un antipasto, portando un giovane Mark Zuckerberg sul grande schermo, con The Social Network, che metteva alla porta il pigmalione Sean Parker. La realtà non è un film e Facebook non è più il promettente giocattolo di uno studente universitario. Lui, l’oggi 34enne Zuckerberg, ha però la stessa strategia accentratrice. Le ultime «vittime» sono Kevin Systrom e Mike Krieger, i fondatori di Instagram, che ieri hanno annunciato le dimissioni. Lasceranno Facebook sei anni dopo avergli venduto l’app di foto per un miliardo di dollari. All’epoca Instagram aveva 30 milioni di iscritti. Oggi è il fiore all’occhiello di Menlo Park: la usa un miliardo di persone, è rimasta a margine delle polemiche post-cambridge Analytica sulla privacy e postelezione di Donald Trump sulle interferenze nei dibattiti elettorali ed è riuscita a intercettare l’orda di ragazzini in fuga da (o disinteressati a) Facebook.
Tutto troppo bello per non averne il completo controllo? In maggio Zuck ha messo le mani avanti piazzando i fedelissimi Chris Cox e Adam Mosseri rispettivamente a capo delle app e del prodotto a Instagram. I dissapori con Systrom e Krieger andavano avanti da mesi: i due mal sopportavano le eccessive interferenze dei dirigenti di Facebook ed erano preoccupati per l’indipendenza dell’applicazione. Adesso, ad esempio, è già possibile riversare automaticamente le Storie pure su Facebook e Messenger.
Ancor meno collaborativi — dal punto di vista di Zuckerberg — erano stati i fondatori di Whatsapp, altro gioiellino acquistato per 19 miliardi di dollari nel 2014. Il giorno di San Valentino. A differenza di Systrom e Krieger, dimostratisi reattivi quando si è trattato di iniziare a monetizzare, Brian Acton e Jan Koum si sono opposti all’ormai imminente sbarco della pubblicità nell’app di messaggistica. «Niente pubblicità, niente giochi, niente trucchetti», era il loro motto. «È il momento di cancellare Facebook», aveva poi sentenziato Acton dopo le dimissioni di un anno fa, lasciando intendere come gli scandali del biennio horribilis di Menlo Park abbiano inciso sulle scelte degli ex dirigenti. Koum lo ha seguito in maggio, anche se la separazione non è ancora effettiva.
Se il divorzio con i quattro geni degli schermi mobili è arrivato dopo una lunga — e proficua — unione, quello con Palmer Luckey ha anticipato potenziali disaccordi sulle strategie di sviluppo. Il fondatore di Oculus è stato defenestrato a tre anni dalla vendita dei suoi visori a Facebook per due miliardi, dopo aver orchestrato una campagna online contro Hillary Clinton e aver rimediato una sconfitta in tribunale. «Le sue idee politiche non c’entrano» ha assicurato Zuckerberg, alla sbarra, al senatore Cruz lo scorso aprile. E lo scambio e i retroscena meriterebbero un’altra sceneggiatura di Sorkin.