SE LE ACCUSE DI MOLESTIE CANCELLANO I CAPOLAVORI
Èandata più o meno così. Cristina Comencini, regista e scrittrice, era sul palco di Citylife a Milano, in occasione di Fuoricinema, intervistata dalla nostra Micol Sarfatti. Sono intervenuto con un’ultima domanda, e tra il pubblico ho notato Pigi Battista. Così ho pensato bene di chiedergli — live on stage, come dicono in città — un contributo per 7. Una conversazione Comencini-battista su un tema di cui entrambi hanno parlato e scritto: i rapporti tra sesso e potere, gli abusi sul lavoro, il maremoto chiamato #metoo; ma anche il rischio che una battaglia nobile prenda connotazioni discutibili. È giusto, per esempio, che le accuse e la condanna morale condizionino il giudizio su un artista?
La questione è complessa e delicata: quindi, affascinante. Il rischio è duplice. C’è quello del conformismo e quello dell’anticonformismo. Il conformismo spinge a dire: se un artista — un attore, un regista, un pittore, uno scrittore — si è macchiato di colpe gravi, è inevitabile che la sua opera ne risenta. Quindi, buttiamo fuori Kevin Spacey da House of Cards, perché accusato d’essere un predatore sessuale; non distribuiamo il nuovo film di Woody Allen, sospettato di molestie; cacciamo Asia Argento da X Factor, dopo la vicenda che l’ha coinvolta negli Usa (un minorenne sostiene d’aver avuto rapporti con lei).
È meno conforme agli umori del tempo sostenere che i due piani debbano restare distinti. Woody Allen ha fatto film magnifici (anche qualcuno bruttino, a dire il vero): possiamo dimenticarcene? Gli eccessi — polemici e non solo — di Asia Argento giustificano l’estromissione brusca da una trasmissione televisiva, dove — tutti concordano — sapeva fare la sua parte? E nella quale, di sicuro, non sono passati soltanto santi e chierichetti?
Confesso: ho la sensazione che ci sia qualcosa di eccessivo in alcune reazioni. È vero quanto sostiene Cristina Comencini: #metoo ha cambiato per sempre, e in meglio, i rapporti tra i sessi sul luogo di lavoro. In molti casi — il cinema, la televisione, i giornali — la trasformazione sta avvenendo. In altri, è lenta (penso alla moda, dove quasi tutto tace). In certi ambienti il cambiamento è atteso (negli ospedali, nelle scuole, nelle università). Non siamo più negli anni 70, quando Bruno Soccavo, un personaggio di Elena Ferrante, nella fabbrica di salumi di famiglia, a San Giovanni a Teduccio, pretendeva il pizzo sessuale dalle operaie. Ma in troppe aziende italiane certe pessime pratiche — sesso e ricatto, mascherato spesso con un sorriso — non sono scomparse.
Torniamo all’arte. È comprensibile che il giudizio morale possa cambiare l’apprezzamento personale. Se, dopo aver ascoltato il racconto di Dylan Farrow (la figlia che lo accusa di molestie), qualcuno non riesce più a guardare i film di Woody Allen, non c’è niente da fare. Ma una cosa è la reazione individuale, un’altra l’ostracismo collettivo. La storia del cinema e della letteratura sarebbero diverse, e più povere, se dovessimo estromettere tutti coloro che si sono macchiati di colpe sessuali (pensate a Pier Paolo Pasolini). Lo stesso vale per la musica, la pittura, la scultura e il cinema. Di molti registi — defunti e viventi — si narrano vicende poco edificanti. Se diventassero pubbliche, sarebbe giusto rimuovere la loro produzione artistica? Nelle università americane direbbero di sì; io credo di no.
Sono temi delicati e se ne parla poco. Ma il compito di un giornale, oggi, è far pensare. Ecco: pensateci e scrivetemi. Magari sono fuori strada e vorrei saperlo.