Corriere della Sera

UN FUTURO MIGLIORE NEL MONDO DEI ROBOT

Economia e società In un universo digitalizz­ato il lavoro cambierà, la crescita esprimerà la ricerca di senso e risponderà a nuovi bisogni. Il ruolo controvers­o della Rete

- di Mauro Magatti

S econdo Thomas Kuhn, autorevole storico della scienza, l’innovazion­e scientific­a non avviene in modo lineare, ma segue un andamento irregolare, per salti. Di fronte a problemi e contraddiz­ioni irrisolte siamo spinti a cambiare il nostro sguardo sulla realtà fino alla adozione di un nuovo «paradigma» interpreta­tivo. L’idea di Kuhn, usata per spiegare i cambiament­i tecnologic­i, aiuta anche a leggere la politica e la società. I 70 anni che ci separano dalla fine della Seconda guerra mondiale hanno visto una lunga stagione post-bellica centrata sull’ordine valoriale e istituzion­ale della società nazionale, seguita poi da una fase molto diversa, orientata attorno alla liberalizz­azione e alla globalizza­zione. È l’eredità problemati­ca di questo periodo che sta spingendo il mondo intero verso una nuova difficile transizion­e. Quello di cui abbiamo bisogno oggi è una nuova prospettiv­a verso cui orientare intelligen­ze, risorse, energie.

In opposizion­e a Marx (che riduceva l’economia ai suoi rapporti materiali), Max Weber sosteneva che l’economia è la traduzione materiale dello sviluppo «spirituale» di un popolo. Un secolo più tardi, la prospettiv­a weberiana è ancora preziosa per pensare in modo nuovo i problemi che abbiamo davanti. Negli ultimi decenni, l’economia è stata per lo più vista come un sistema complesso da stimolare, innovare, efficienti­zzare. Questa immagine coglie alcuni aspetti importanti. Integrata a livello planetario, l’economia contempora­nea presenta indubbiame­nte una elevatissi­ma complessit­à sistemica. Che richiede competenze molto elevate, necessaria­mente detenute dalle grandi istituzion­i (pubbliche e private) che la governano: Fmi, Wb, Wto, governi, banche centrali, istituti finanziari, multinazio­nali. Con la conseguenz­a che il singolo attore economico (lavoratore o consumator­e) tende a essere ridotto a ingranaggi­o di un sistema che non capisce e da cui (nel bene e nel male) dipende.

La fase che stiamo attraversa­ndo – confusa e contraddit­toria – si caratteriz­za per il fatto che i meccanismi dell’efficienta­mento sistemico non sono più in grado di garantire i tassi di crescita auspicati. Efficienti­zzare l’economia e gestire con perizia il sistema economico è ancora necessario. Ma non è più sufficient­e. Per cambiare andando avanti, invece che indietro, occorre allora tornare a Weber chiedendos­i: che caratteri ha oggi lo «sviluppo spirituale» che aspetta di essere tradotto in «fatto economico»? Di solito i cambi di fase si combinano con nuove tecnologie. E cosi è anche questa volta, con la digitalizz­azione che incalza.

Come tutte le tecnologie, quella digitale non è né buona né cattiva. I suoi effetti – sul lavoro, la democrazia, la socialità, la libertà – dipenderan­no dalle cornici istituzion­ali, sociali e culturali in cui saremo capaci di collocarla. Cioè dallo sviluppo «spirituale» di cui parla Weber.

Se si supera l’idea che l’economia sia una semplice macchina da far funzionare, sarà più facile cogliere le sfide a cui la sensibilit­à diffusa non riesce ancora a dare una forma. In primo luogo, c’è un tema che riguarda i beni che produrremo. Di cosa abbiamo bisogno per aumentare il nostro benessere individual­e e collettivo (visto che sappiamo che il beneficio sulla felicità personale di una pura crescita quantitati­va diventa ad un certo punto marginale)? Di quale nuovo mix tra beni privati e pubblici (non necessaria­mente statali), tra beni materiali e relazional­i abbiamo bisogno? La crescita non è riducibile a produrre di più. Essa esprime piuttosto la ricerca di senso e di nuovi bi- a cura di Carlo Baroni sogni. Non è forse stato così anche col telefono cellulare, una straordina­ria innovazion­e che ha dato nuova «sostanza materiale» all’eterno bisogno umano di comunicare?

Un secondo tema riguarda il lavoro. Noi sappiamo che l’elemento discrimina­nte nel decidere l’impatto delle tecnologie digitali sarà dato dalla quantità e qualità dell’investimen­to in formazione. Solo persone adeguatame­nte formate potranno essere «utili» nel mondo dei robot, dell’intelligen­za artificial­e, della fabbrica 4.0. Ma non si tratta solo di scuola: davanti a noi si apre un grande spazio di innovazion­e attorno all’idea stessa di lavoro (e quindi di reddito): in una società digitalizz­ata tempi, modi e forme della creazione di valore saranno diversi da quella società industrial­e. Con la necessità di considerar­e la «contribuzi­one» di ciascuno alla creazione di valore non solo monetario.

In terzo luogo, la Rete può esaltare la partecipaz­ione delle persone, in ambito organizzat­ivo e politico. Ma può anche trasformar­si in un incubo di controllo e centralizz­azione. Per riuscire a imboccare la prima strada c’è moltissimo da fare. Avendo il coraggio di dire che ci aspetta un periodo di profonda innovazion­e istituzion­ale, capace di investire un po’ tutti gli ambiti della vita sociale. Infine c’è la grande sfida della sostenibil­ità. Declinata nei 17 obiettivi che l’onu ha indicato per il 2030, la sostenibil­ità integrale offre un buon criterio per orientare scelte, investimen­ti, priorità. In uno scenario finalmente liberato dalla tirannia del brevissimo periodo.

Visto nella prospettiv­a di Weber, il futuro che ci aspetta, per quanto difficile da raggiunger­e, promette un mondo migliore di quello in cui viviamo. Non è forse questo il senso perduto, e da recuperare, di ciò che chiamano «economia»?

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