AZNAR E GONZALEZ LEZIONE DI DEMOCRAZIA
Caro Aldo, ci dicono che siamo nella Terza Repubblica, ma mi pare che non si sia perso il vizio della Seconda: i partiti tra loro si disprezzano, non riconoscono la legittimità dell’avversario, e non sono disposti non dico a collaborare, ma almeno a dialogare e a rispettarsi. Sbaglio? Franco Panella, Roma Caro Franco, L a sua lettera mi fa pensare all’incontro della settimana scorsa tra Felipe Gonzalez e José María Aznar, moderato dalla direttrice del quotidiano El País, Soledad Gallego-diaz. Il socialista Gonzalez e il popolare Aznar hanno governato la Spagna per ventidue anni. Rappresentano stabilità e alternanza, due virtù che il nostro sistema politico non ha mai posseduto, con l’eccezione di due legislature: 19962001, governo del centrosinistra (sia pure con tre diversi presidenti del Consiglio), 2001-2006 governo del centrodestra; una sorta di miracolo dovuto alla legge maggioritaria uninominale, non a caso prontamente abolita. Gonzalez e Aznar si sono detestati moltissimo. Non potrebbero essere più diversi. Felipe è un andaluso sanguigno (anche se suo padre era della Cantabria) che da giovane fu militante antifranchista, José Maria è un madrileno che da studente frequentava gruppi di estrema destra. Però nel dibattito sono stati generosi di riconoscimenti reciproci. Soprattutto, hanno ribadito di essersi combattuti senza uscire dal perimetro tracciato dalla Costituzione, rispettando un minimo di regole comuni, un nucleo di valori condivisi.
Certo, il clima dell’incontro era reso più facile dal tempo trascorso, che ha stemperato le contrapposizioni. Sia Gonzalez sia Aznar sono ora lontani dalla prima fila (anche se Aznar ha appena piazzato alla guida dei Popolari un suo uomo, Pablo Casado, mentre Gonzalez non ama il premier socialista Sanchez e gli preferisce la presidenta andalusa Susana Díaz). E forse il loro elogio del passato suona anche come condanna del presente, in particolare dell’indipendentismo catalano, cui l’attuale governo di sinistra sta pagando un prezzo pur di sopravvivere. Però la Spagna ha qualcosa da insegnarci: in democrazia quel che unisce è sempre più di quello che divide; o almeno dovrebbe esserlo.