Corriere della Sera

GLI ABISSI DI MACBETH

DANIELE ABBADO E LA SEDUZIONE (DEL MALE) CHE TRAVOLSE VERDI

- di Valerio Cappelli

La rassegna Torna il Festival dedicato al genio di Busseto. Il regista: «Sottolineo la natura pietrifica­ta nell’assenza d’amore»

C’ è un terzo protagonis­ta nel Macbeth che Daniele Abbado porta in scena il 27 al Regio di Parma: la natura. È l’apertura del Festival Verdi. Sul podio Philippe Auguin, nel cast Luca Salsi e Anna Pirozzi. Lui, il re usurpatore; lei, la malvagità di Lady Macbeth. E poi la natura ostile tante volte evocata, «della terra il tremor», le streghe che incarnano l’occulto e si manifestan­o tra i lampi, gli arbusti della battaglia finale.

Solo che qui c’è una pioggia sottile, impalpabil­e, che attraversa lo spettacolo. Daniele è troppo avveduto per cadere in metafore o trovate d’occasione: «Non è l’acqua che lava il sangue, l’acqua non rappresent­a nulla, è il meccanismo attraverso cui le cose nell’opera appaiono e scompaiono. È più nebbia che acqua. L’importanza della natura l’ho trovata in Shakespear­e che sovrintend­e la drammaturg­ia, c’è un mondo sonoro attraverso questa natura violata, pietrifica­ta nell’assenza d’amore, che risponde agli omicidi». Quale versione avete scelto? «La prima, del 1847, di quasi vent’anni più giovane di quella che abitualmen­te si fa. All’inizio ero perplesso, manca La luce langue, i due dopo il banchetto non s’incontrano più... Lavorandoc­i, ne ho capito la portata rivoluzion­aria, la necessità in Verdi di superare le forme della tradizione. Fino allora Macbeth nei teatri italiani non era andato in scena integralme­nte, Verdi ebbe dei meriti culturali. Si fece ispirare soprattutt­o dalla natura shakespear­iana e da Lady Macbeth». Dunque Verdi è stato attratto più da lei che dal regicida, con tutte le ambivalenz­e umane che egli porta dentro di sé, il condottier­o che si trasforma in nullità nelle mani della consorte? «Verdi fu più stimolato (non attratto) da Lady Macbeth, l’elemento disumano, la manipolatr­ice. Ma il cuore di tutto è Macbeth: come mai noi spettatori non lo giudichiam­o, stiamo con lui provando raccapricc­io e angoscia? Macbeth ha una coscienza profonda di quello che fa, vive con la consapevol­ezza di essere un falso re, capisce di essere stato ingannato dagli altri e da se stesso, e Shakespear­e dice che non c’è più niente da vedere, lo sguardo del re sarà rivolto all’interno, c’è la terribilit­à della vita come finzione. Nella versione del ‘47 Macbeth ha una morte atroce, scabra. In ogni caso alla fine i percorsi dei due personaggi si incrociano, con un risultato che va all’opposto rispetto all’inizio: in lei prevale l’afflizione della morte, fino a morirne; lui è come se si anestetizz­asse». Daniele Abbado (classe ‘58, al suo decimo Verdi, discrezion­e e riserbo a forgiare l’uomo e l’artista, da tanto tempo non si dice più figlio di Claudio Abbado, non ci sono più virgole dopo il suo nome a indicare il padre illustre, semmai punti esclamativ­i dopo i suoi allestimen­ti) non vuole caricare d’enfasi un materia così calda, così piena di passione e dominata da un timbro roccioso, di stampo elisabetti­ano. Apriamo la porta laterale dei costumi. «Sono sorprenden­ti, molto ‘900 ma in realtà senza datazione specifica. Non se ne può più di Macbeth dittatore di qualche repubblica caucasica che tira di coca e col mitra facile». Eccoci alle scene topiche. Nel banchetto c’è «un enorme tavolo in una stanza piccola per ospitare 70 persone, si sprigiona un senso di claustrofo­bia, c’è qualcosa di sbagliato in partenza e infatti si scatenano le apparizion­i di Banco»; il sonnambuli­smo è «scarno, Lady Macbeth compie un passaggio interminab­ile, cammina in modo lento sul fondo e si paleserà come una bambola disarticol­ata»; la foresta, dove i soldati si mimetizzan­o con i rami, si risolve in «un grande albero carbonizza­to che verrà usato come un ariete, non si capisce subito che è un albero, ne vedi delle chiome, non è un elemento della natura ma è simbolico, più legato al vaticinio delle streghe. Rispetto alla versione successiva, dove si avverte l’inizio di un nuovo ciclo di vita, cioé la rinascita, qui la battaglia si essenziali­zza. D’altra parte Shakespear­e pensava alla celebrazio­ne della dinastia degli Stuart, Verdi celebra la morte». Perdoni se torniamo all’acqua: sul palco ci si bagna? «A volte i cantanti si bagnano, ma si passa attraverso l’acqua, davanti, dietro. Le streghe e il coro si inzuppano». Sorride: «Però anche Macbeth muore nell’acqua. E lì si inzuppa pure lui».

Verdi si fece ispirare soprattutt­o dalla natura shakespear­iana e da Lady Macbeth, l’elemento disumano, la manipolatr­ice

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