Corriere della Sera

Il dollaro egemone al test del presidente

- Di Danilo Taino Statistics Editor

Donald Trump sta usando gli straordina­ri muscoli del dollaro e la potenza economico-finanziari­a degli Stati Uniti per fare avanzare non solo i suoi obiettivi commercial­i ma anche per regolare questioni politiche. Per esempio attraverso le sanzioni alla Russia e all’iran che non colpiscono solo i due Paesi ma potenzialm­ente anche chi fa affari con loro. È una strategia che nel breve periodo ha successo ma comporta rischi sul lungo. Potrebbe a esempio minacciare l’egemonia stessa del dollaro. Nei giorni scorsi, i ministri degli Esteri di Germania, Regno Unito, Francia, Russia e Cina, e in prima fila la rappresent­ante diplomatic­a della Ue Federica Mogherini, hanno annunciato l’intenzione di creare uno Special Purpose Vehicle (Spv) — sostanzial­mente un meccanismo commercial­e — per fare business con l’iran aggirando le sanzioni imposte a Teheran da Washington. Come sarà congegnato questo Spv ancora non si sa: di certo, prevederà l’utilizzo di valute diverse dal dollaro per tutte le operazioni con l’iran, dagli scambi sul petrolio alle armi. Non è detto che funzioni. Se però avesse successo, potrebbe rappresent­are un modello per altri casi ed erodere l’egemonia della valuta americana. Oggi — secondo dati della Banca centrale europea — l’82,7% delle riserve valutarie mondiali sono in dollari (in euro il 20,1%, in yen il 4,9%, in renminbi l’1,2%). Lo è anche il 62,2% del debito internazio­nale, come il 56,3% dei prestiti internazio­nali e il 43,8% del volume sui mercati dei cambi. È dagli Anni Ottanta che si parla di fine del dominio mondiale del dollaro: in realtà, la sua posizione rimane fortissima, in alcuni momenti cala, in altri cresce, a seconda degli andamenti delle economie, ma una sua crisi non si è mai concretizz­ata. In quello che è forse l’indicatore più significat­ivo della reputazion­e di una moneta, le riserve valutarie globali, quelle in dollari erano di 1.739 miliardi nel 2004 e sono arrivate a 6.282 miliardi alla fine del 2017. La posizione del biglietto verde è insomma estremamen­te difficile da attaccare e al momento è solida. La sua forza, dal dopoguerra, è stata quella di essere la rappresent­azione concreta della stabilità, alla quale rivolgersi, ancora più del solito nei momenti di crisi. Usarla oggi come arma politica può minacciare il suo ruolo di àncora dell’economia mondiale.

@danilotain­o

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