Luisi sul podio dà energia al tris di Verdi
Che Rigoletto, Il trovatore e La traviata formino una trilogia popolare, a dispetto delle intenzioni di Verdi, è cosa che ha un suo assodato perché. Che tale trilogia sia cosa squisitamente italiana, tanto da ripensarla sotto il marchio del Tricolore, come avviene a Firenze, è invece discutibile, perché italiani sono i libretti e gli idiomi musicali ma universali i drammi, senza dimenticare che mai Verdi utilizzò una fonte italiana nello scegliere i propri soggetti. L’operazione Trilogia Tricolore, varata all’opera di Firenze, in ogni caso è un successo.
La ragione di ciò si fonda anzitutto sul fatto che Fabio Luisi si conferma eccellente direttore verdiano. Le sue prove sono piene di vita ed energia, ma anche di controllo dei volumi e dello stile. Se ha un difetto, è solo di essere troppo «gentile» con quei cantanti — vedi Jennifer Rowley, Leonora — che abusano di respiri e fermate. L’altra ragione è che Francesco Micheli, regista dell’intero, unitario progetto, lo risolve in modo abbastanza compiuto. Ogni spettacolo si alimenta di idee plausibili, infatti. Così tante che il concetto tende a prevaricare il racconto. L’«abbastanza» di cui sopra viene dal fatto che non tutte si legano in forma compiuta e definitiva al tutto. Esame duro e brillantemente superato, in ogni caso. Nel cast, mediamente di buon livello, svettano l’azucena di Olesya Petrova, il Manrico di Piero Pretti e la Violetta di Zuzana Marková, soprano tecnicamente eccepibile ma che in scena attira magneticamente l’attenzione. Sempre piena la platea. E sempre vibranti gli applausi.