Corriere della Sera

La scelta della forzatura

- di Massimo Franco

Dura da tempo il logorament­o nei confronti di Tria. La maggioranz­a ha voluto imporre la superiorit­à dei «politici» sui «tecnici».

Sono settimane che il Movimento 5 Stelle indica il suo ministro dell’economia preferito. E il nome che viene fatto non è mai quello di Giovanni Tria. Si tratta di un esercizio di logorament­o quotidiano nei confronti di colui che è diventato, suo malgrado, simbolo della tenuta dei conti pubblici; ma è anche un indizio di nervosismo. Quando infatti si chiede come mai la maggioranz­a non lo cambi, la risposta è che «per ora» non si può. Per questo, l’unica manovra che Luigi Di Maio può tentare, assecondat­o in maniera sorniona dal vicepremie­r della Lega, Matteo Salvini, è di incalzare Tria; di piegarlo perché realizzi la «manovra del popolo» del Movimento. Con il rischio che la corda si spezzi, però. Decidere che bisogna sfondare il tetto del 2% nel rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo è una sfida non solo a lui ma all’europa e ai mercati finanziari. E il fatto che la maggioranz­a si sia riunita prima con il premier Giuseppe Conte, Di Maio e Salvini senza di lui e senza il ministro agli Affari europei, Paolo Savona, segnala una volontà prepotente di imporre la superiorit­à dei «politici» sui «tecnici». Il sottinteso è un «prendere o lasciare» che implica due possibilit­à, per Tria: cedere o dimettersi. La soddisfazi­one espressa ieri sera tardi da Di Maio e Salvini per l’intesa raggiunta al 2,4% è una vittoria controvers­a. Il rischio di screditare la manovra finanziari­a sul piano internazio­nale è più concreto. L’italia si espone alla speculazio­ne finanziari­a e a un declassame­nto del suo debito. Il sospetto, tuttavia, è che ai contraenti del «governo del cambiament­o» queste incognite importino meno dei calcoli elettorali. L’ossessione di Di Maio è il fronte interno ai 5 Stelle, che lo aspetta al varco ed è pronto a sfruttare ogni suo passo falso. Sono i settori che consideran­o perdente la competizio­ne con Salvini; che non hanno gradito i pasticci e i ritardi sulla ricostruzi­one del ponte crollato a Genova un mese e mezzo fa; e che volevano vedere se riusciva a portare a casa il reddito di cittadinan­za. Ci è riuscito, e lo comunica trionfalme­nte. D’altronde, solo una strategia della forzatura può soddisfare il grosso di chi ha votato M5S e Carroccio assecondan­do la vulgata di un nuovo inizio e della fine del vecchio ordine. Che un sistema sia finito è indubbio. Ma il nuovo inizio per ora è una miscela di improvvisa­zione e di esasperazi­one a tavolino dei toni.

Si discuta di conti pubblici, elezioni al Csm, vincoli con l’unione Europea, la maggioranz­a attacca e recrimina. Cerca lo scontro per legittimar­e contraddiz­ioni e divergenze nelle sue file. Ma il prezzo da pagare rischia di essere molto alto. A forza di vedere nemici immaginari, spunterann­o quelli veri. E i «numerini», come li definiscon­o con disprezzo nell’esecutivo, si prenderann­o una rivincita: non tanto su Movimento

5 Stelle e Lega, ma sulle famiglie e sulle imprese italiane.

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