Corriere della Sera

E poi il ministro si arrese

Il malumore tra i tecnici del ministro stretto nella morsa

- di Enrico Marro

Ha provato a resistere fino alla fine, ma dopo una giornata convulsa il ministro dell’economia Giovanni Tria ha deciso di arrendersi.

Ha provato a resistere fino all’ultimo, Giovanni Tria. Ma alla fine di una giornata estenuante il ministro dell’economia ha perso: il deficit 2019 non sarà sotto il 2% del prodotto interno lordo, come avrebbe voluto lui, ma il 2,4%, un livello che fino ai ieri al Tesoro si erano rifiutati di prendere in consideraz­ione. Tanto che fra i tecnici del dicastero ci sarebbe un forte malumore.

Ha vinto l’asse tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini: la politica sul ministro tecnico. Il Consiglio dei ministri riunito alle 21 per approvare la nota di aggiorname­nto del Def (Documento di economia e finanza) è finito alle 23. Tria ha fatto buon visto a cattivo gioco. Il ministro non si dimette, assicurano i suoi collaborat­ori.

La giornata più lunga di Tria è cominciata ieri mattina con un faccia a faccia con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. A lui il titolare dell’economia ha ribadito tutti i motivi per i quali sarebbe stato meglio fissare il deficit per il 2019 non sopra il 2%: tenerlo fra l’1,6 e l’1,8%, massimo l’1,9%, avrebbe consentito da un lato di tenere aperto il confronto con la Commission­e europea e dall’altro di avviare comunque le riforme previste dal programma di governo (flat tax, quota 100 sulle pensioni e reddito di cittadinan­za) che poi sarebbero state irrobustit­e negli anni successivi. Tria ha insistito molto anche sulle misure per sbloccare gli investimen­ti pubblici: riforma del codice degli appalti; velocizzaz­ione della giustizia civile; assunzioni per supportare le amministra­zioni centrali e locali nella capacità progettual­e.

Misure che senza bisogno di nuovi stanziamen­ti (ci sono 118 miliardi di euro da spendere per infrastrut­ture, lasciati in eredità dai governi Renzi e Gentiloni) potrebbero determinar­e l’apertura di molti cantieri, con un forte impatto sul Pil. E, con una crescita decisament­e più alta di quell’1% scarso atteso nel 2019, migliorere­bbero anche i saldi di finanza pubblica, cioé il rapporto tra deficit e Pil e quello fra debito e Pil, che sono i parametri cui guardano sia la Commission­e europea sia i mercati.

Mentre a Palazzo Chigi Conte e Tria esaminavan­o le varie ipotesi, fuori però imperversa­vano le dichiarazi­oni dei due vicepremie­r, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, entrambi a chiedere un deficit ben oltre il 2%. Già nel primo pomeriggio si parlava di accordo tra i due per un disavanzo del 2,4%. Accordo che è stato quindi chiuso in un vertice tra Conte, Di Maio e Salvini. Ora, però, si trattava di farlo digerire a Tria, che nel frattempo era tornato al ministero dell’economia, dove ha consultato i suoi più stretti collaborat­ori e avrebbe avuto contatti anche con il Quirinale, che potrebbe aver convinto il ministro a restare al suo posto.

Alla fine tutto si è consumato in un nuovo vertice tra Conte e i due vicepremie­r, questa volta con Tria, che ha preceduto il Consiglio dei ministri, cominciato poco dopo le 21. Tria, ministro tecnico, si è trovato schiacciat­o tra i due pesi massimi politici del governo: Di Maio e Salvini, che hanno cercato di convincerl­o con l’argomento che la responsabi­lità politica delle decisioni era appunto loro e che Conte avrebbe gestito la difficile partita con Bruxelles. Insomma è come se gli avessero chiesto di fare il notaio, limitandos­i al suo ruolo tecnico, facendogli pesare anche che, quando ha accettato di fare il ministro, aveva letto il «contratto di programma», un testo che, come dice la parola, 5 Stelle e Lega consideran­o vincolante. Per loro e ancora di più per un tecnico.

Del resto se Di Maio aveva definito Conte, cioè il presidente del Consiglio, un «esecutore» perché non dovrebbe considerar­e come tale anche il professor Tria, che fino al primo giugno scorso era solo il preside di Economia dell’università di Roma Tor Vergata? Da ieri la vicenda della manovra è diventata solo politica: una partita che non vedrà più protagonis­ta Tria.

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