Mediobanca, la mossa di Bolloré Esce dal patto di sindacato
I soci: un comitato per sondare alternative alla decadenza dell’accordo
Lo scossone in Mediobanca, quella che una volta era il perno della «galassia del Nord» della finanza italiana, arriva da dove non era atteso: da Parigi, con l’uscita a sorpresa del finanziere Vincent Bolloré, secondo azionista dopo Unicredit (che ha l’8,40%) e membro importante del patto di sindacato che vincolava, fino a ieri, il 28%.
La sua disdetta anticipata sul 7,86% — che si aggiunge a quella dell’italmobiliare della famiglia Pesenti per lo 0,98% — porta l’accordo di blocco sotto quota 25% e di conseguenza fa decadere l’intero patto parasociale a partire dal 1 gennaio 2019. Per l’istituto di Piazzetta Cuccia è davvero la fine di una storia lunga 60 anni, essendo stato fin dalla nascita governato da un accordo tra i soci maggiori, quello che una volta era il «salotto buono», prima al 75% fra le banche fondatrici Credit, Comit, Banca di Roma e via via assottigliato nel 2017 fino al 28%.
Adesso i grandi soci — senza più la Financière du Perguet — cercheranno di ricostituire un patto più leggero, di «consultazione», che non vincolerà le azioni, lasciandole libere sia di essere vendute sia di essere oggetto di operazioni finanziarie, come la garanzia di finanziamenti.
Proprio la disponibilità delle azioni sembra essere la ragione per la quale Bolloré ha proceduto alla disdetta del patto con un anno di anticipo, «dopo quasi vent’anni di adesione all’accordo». La scelta, ha spiegato Bolloré nella lettera di disdetta arrivata al presidente del patto, Angelo Casò, «è collegata al crescente impegno finanziario del gruppo Bolloré in Vivendi» (passato dal 20,6% al 26,2%) «ed all’obbiettivo di utilizzare con maggiore flessibilità i suoi asset». La quota di Piazzetta Cuccia, che vale circa
700 milioni, potrebbe ora essere data in garanzia: il 6% di Vivendi acquistato negli ultimi 12 mesi vale circa 1,5 miliardi. Vivendi, a sua volta, è impegnata nelle difficili partite di Telecom e di Mediaset, che hanno richiesto investimenti miliardari ma dagli esiti incerti, come potere e sotto il profilo finanziario. Bolloré ha detto comunque che resterà in Mediobanca, «seppur al di fuori dell’accordo, ed esprime soddisfazione per gli eccellenti risultati» della banca e il suo «convinto sostegno all’attuale strategia e pieno supporto al suo management».
Dell’eventuale rinnovo in forma «light» del patto, in consultazione, discuteranno i soci nei prossimi mesi: se restassero gli attuali, il patto riguarderebbe il 19,63% del capitale. Sarebbe anche più affine alla public company delineata in questi anni dal ceo Alberto Nagel e alla sua strategia di diversificazione del business che ha portato i fondi istituzionali ad avere il 45% circa del capitale. Una strategia che in dieci anni ha ridotto le partecipazioni e puntato su internazionalizzazione e risparmio gestito, sia retail sia di fascia alta,oltre che sul credito al consumo. Anche il consiglio ormai non dipendeva più direttamente dal patto di sindacato visto che il rinnovo del board al 2020 dovrebbe avvenire sulla base di una lista proposta dal consiglio uscente. In Borsa il titolo ha perso l’1% circa in linea con il mercato, segno che per gli investitori non è stata una rivoluzione.
Resta da capire quale sarà la linea di Unicredit: senza la banca guidata da Jean Pierre Mustier un patto sull’11% circa non avrebbe senso. E resta da vedere quali potranno essere gli impatti su Generali, di cui Mediobanca ha il 13% e della cui italianità — valore ribadito più volte da Mustier — è da decenni garante.