IL SIGNORE DELLE PERLE
PANINI E LE VENEZIANE IN AFRICA «IN QUELLE PIETRE C’È UN MONDO»
Augusto Panini l’africa l’ha frequentata tanto, fra la fine degli anni ‘80 e il primo decennio del XXI secolo passando mesi fra il Ghana, il Mali e il Burkina Faso. Per trent’anni ha venduto foulard in poliestere molto apprezzati dalle donne musulmane. E così, approfittando del tempo libero, affascinato dagli oggetti in vendita nei coloratissimi mercati, e in particolar modo dal Marché Rosé di Bamako in Mali, si è appassionato alle perle di vetro di cui è diventato un esperto e un collezionista.
Quelle stesse perle, o margarite come nel ‘300, esposte, da domani al 7 ottobre nella collaterale di Mercanteinfiera a Parma «La via delle perle di vetro da Venezia a Timbuctu XV-XX secolo» curata insieme a Paolo Aquini. «Il mio successo imprenditoriale — spiega Panini — lo devo al fatto di essermi innamorato dell’africa occidentale subsahariana dove ho trovato un mondo fantastico: dalle incisioni rupestri risalenti al periodo compreso tra ventimila e duemila anni avanti Cristo, quando il Sahara ha iniziato a desertificarsi, ai manufatti tradizionali di uso comune disseminati ovunque. Rendono conto della bellezza del paese e in particolare del Mali. Mi piaceva conoscere i gusti delle donne, per sapere quali foulard proporre ma mi interessava anche capire quello che vedevo che, a saperlo leggere, racconta la storia dell’umanità degli ultimi 2000 anni. In particolare ad affascinarmi sono state le collane di perle di vetro che in Africa si trovano un po’ ovunque — spiega —. Dal X° secolo alla scoperta dell’america le perle di vetro venivano importate dal Medio Oriente. Poi dall’inizio del XVII secolo i commerci transahariani sono stati sostituiti con quelli transoceanici. Non si passava più dalla Siria o dalla Persia ma da Venezia e dalla Boemia e proprio a questo periodo è dedicata la mostra».
Perle di vetro impiegate come moneta ma dal valore (anche) simbolico. Inanellate in un unico filo creano personalissime collane capaci di raccontare storia di vita vissuta e conservare ricordi e affetti: matrimoni, nascite e lutti, oltre a servire da segni distintivi di potere o religiosi. A queste perle infatti sono attribuiti poteri magici, apotropaici, protettivi, tipici in particolare di quelle con il disegno di un occhio.
«Da mille anni sono usate non solo come ornamento ma hanno un significato religioso e sono impiegate nei riti voodoo — sottolinea l’ex imprenditore —. Nonostante l’islam sia la religione ufficiale il sincretismo religioso è una realtà. In casa si trova sempre un altarino per gli antenati o per i figli morti. Si tratta di culti ancestrali che continuano a essere coltivati. Le perle servono per gratificare le divinità che vengono accudite, vestite di tutto punto nei giorni di festa. Feticci ornati in segno di rispetto e compartecipazione alla vita della famiglia. Le perle di vetro venivano anche inserite nei gri gri (piccoli contenitori in cuoio) insieme ad altri oggetti magici come un sasso o un versetto del Corano e dati ai bambini per proteggerli o utilizzati a scopo propiziatorio dai cacciatori».
Perle bianche e rosse per le cerimonie woodoo, colori con i quali si identifica la divinità più importante, la dea Mami Wata, rappresentata da un sirena. Gialle per l’iniziazione delle giovani presso l’etnia Krobo del Ghan. E poi ancora bianche per l matrimoni, nere per i funerali, forse su influenza europea.
E ancora la rosetta «la perla veneziana più nota, inventata nel XV secolo da Marietta Barovier» spiega Panini. Conosciuta come la perla dei re fu portata in dono anche all’imperatore azteco Montezuma. «In Ghana si narra che con una rosetta grande come un uovo si compravano anche 10 schiavi. Ancora oggi una perla così può avere un valore importante, circa 2 o tremila dollari». E poi a mosaico o millefiori, comuni nel Togo e nel Benin, a lume o a puntini
Oltre il gioiello
A queste perle sono attribuiti poteri magici, specie quelle con il disegno di un occhio
Divinità
Bianche e rosse per le cerimonie woodoo, colori con cui si identifica la dea Mami Wata
bianchi o rossi. Tutte tecniche derivate dai romani. E se da allora nella loro creazione non è cambiato niente, le perle di strada ne hanno invece percorsa sempre tanta. «Trovare una collana col suo assemblaggio originale può raccontare davvero tanto dell’origine di queste perle, dei loro spostamenti e dell’uso che se ne faceva. Per esempio i nomadi del Sahara le raccoglievano da terra e le infilano nei loro monili tuareg (placche di argento sbalzato) accostando così le perle di vetro a quelle di sasso di età neolitica fino a quelle di plastica». Veri collier creati dalla storia.