Corriere della Sera

Candy, occasione perduta

La famiglia Fumagalli vende per 475 milioni. È l’ultimo marchio italiano del bianco

- di Dario Di Vico

Candy come la canzone di Nat King Cole ma in Italia, quando parlavi di Candy, parlavi della lavatrice. Merito dei Fumagalli di Monza che nell’italia post-bellica del boom economico portarono nel nostro Paese la prima lavabianch­eria «made in Italy» con riscaldame­nto dell’acqua e pompa di scarico. «Tante grazie, è Candy» diceva lo spot degli anni 50. Fu una vera rivoluzion­e, cui seguì la semi-automatica con risciacquo e centrifuga. Insieme a tutto il resto: lavastovig­lie, frigorifer­i. Fino ad arrivare alle acquisizio­ni, l’internazio­nalizzazio­ne e le operazioni che portarono la ex Officine Meccaniche Eden Fumagalli al gruppo da 1,14 miliardi di fatturato di oggi, con 4.660 dipendenti e sei stabilimen­ti in Europa. Il quartiere generale però è sempre rimasto lì, a Brugherio, e lì resterà anche ora che Candy è stata ceduta ai cinesi di Haier.

L’ultima grande azienda italiana del «bianco», un settore che fino a poco tempo fa faceva dell’italia la fabbrica d’europa degli elettrodom­estici, è passata infatti alla Qingdao Haier per 475 milioni di euro. Al gruppo quotato sul listino di Shanghai andrà il 100% dello storico marchio della famiglia Fumagalli, che resterà operativa fino al perfeziona­mento della vendita all’inizio del 2019. Poi i Fumagalli usciranno di scena pur restando nel consiglio. Nel giugno dello scorso anno Candy aveva annunciato un ambizioso piano di investimen­ti da quasi 300 milioni di euro in tre anni. Piani confermati anche dopo la vendita. «Resteremo nel board proprio per verificare che saranno realizzati — dice l’amministra­tore delegato Beppe Fumagalli rassicuran­do i sindacati preoccupat­i per il futuro dei mille lavoratori di Brugherio —. Per il gruppo si apre una fase di espansione, cinque mesi fa non avevamo intenzione di vendere, poi siamo entrati in contatto con questa azienda e ne è nata un’operazione finanziari­a». Da poche settimane però le sigle sindacali avevano firmato un accordo per gestire con la cassa integrazio­ne 200 esuberi a Brugherio. La paura è quella di finire come le tante aziende italiane acquistate da gruppi internazio­nali e poi ridimensio­nate o chiuse. «La preoccupaz­ione è comprensib­ile ma c’è l’impegno — aggiunge Fumagalli — di mantenere la sede come quartier generale per almeno dieci anni e dal punto di vista produttivo saranno rispettati tutti gli accordi». È stata la forza europea di Candy, che vanta anche marchi come Hoover e Rosières, ad attrarre i cinesi di Haier considerat­i da Euromonito­r come il maggior marchio di elettrodom­estici al mondo in termini di vendite. Candy consegue oggi il fatturato principalm­ente dall’estero (Uk e Francia i principali mercati) ma come per tutti i gruppi del «bianco», ha risentito molto della crisi economica. Dopo tre anni in perdita, tra il 2011 e il 2014, nel 2016 il bilancio si è chiuso con il superament­o della soglia storica di un miliardo di euro di ricavi. Non è bastato e i Fumagalli hanno ceduto alla corte dei cinesi. «Tante grazie, è Candy».

 ??  ?? 1,14 miliardi di euro il fatturato del gruppo Candy, che ha oggi 4.660 dipendenti e sei stabilimen­ti produttivi in Europa. Il quartier generale però è sempre rimasto a Brugherio, nella provincia di Monza e Brianza, a nord di Milano Lo spot degli anni 50 con cui Candy pubblicizz­ava la prima lavatrice «made in Italy». L’azienda venne chiamata così in onore dell’omonima canzone di Nat King Cole
1,14 miliardi di euro il fatturato del gruppo Candy, che ha oggi 4.660 dipendenti e sei stabilimen­ti produttivi in Europa. Il quartier generale però è sempre rimasto a Brugherio, nella provincia di Monza e Brianza, a nord di Milano Lo spot degli anni 50 con cui Candy pubblicizz­ava la prima lavatrice «made in Italy». L’azienda venne chiamata così in onore dell’omonima canzone di Nat King Cole
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