Corriere della Sera

UN AZZARDO CHE COSTA 100 MILIARDI IN PIÙ

- di Federico Fubini

«Non ci impicchere­mo ai decimali», ha detto nei giorni scorsi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. «Se per far stare meglio la nostra gente dovrò ignorare uno zero virgola imposto da Bruxelles, per me quello zero virgola vale meno di zero», aveva annunciato il vicepremie­r Matteo Salvini della Lega ancora prima di Conte. Né l’uno né l’altro ha mai precisato esattament­e a quanto ammontino queste differenze così di dettaglio, per le quali non vale la pena perdere tempo in minuzie. Non l’ha detto neanche l’altro vicepremie­r Luigi Di Maio, dei 5 Stelle, quando continuava a parlare di «manovra del popolo».

A un rapido calcolo, tuttavia, gli «zero virgola» valgono poco più di cento miliardi di euro: tutto debito pubblico in più da accumulare nei prossimi tre anni a carico dei contribuen­ti attuali e dei loro figli. Naturalmen­te ciò avverrebbe solo nello scenario a questo punto più favorevole e forse meno verosimile: quello in cui gli impegni del governo sulle pensioni di vecchiaia da anticipare o sui redditi di cittadinan­za non procurino ulteriori sfondament­i dei conti; quello, anche, nel quale il governo riesca in qualche modo a disinnesca­re gli aumenti dell’iva da venti miliardi di euro già previsti per il primo gennaio 2020, oltre dodici dopo miliardi aver trasformat­o già fissati in sul deficit 2019. quelli da Questo scenario dei cento miliardi di debito pubblico in più in tre anni, relativame­nte favorevole date le premesse del momento, ha fra le conseguenz­e il superament­o di una soglia da primato. Per la prima volta a ogni lavoratore in Italia corrispond­erà una quota di debito dello Stato superiore ai centomila euro: come se a ciascun occupato nel Paese facesse capo un mutuo-casa da pagare ogni mese, senza però che questi abbia la casa.

Tali dunque sono gli «zero virgola» ai quale Conte non si impiccherà e che per Salvini valgono «zero». Ma come si arriva a queste stime? Il Documento di economia e finanza (Def) presentato dal governo precedente ad aprile scorso prevedeva un deficit che avrebbe teso allo 0,8% del prodotto interno lordo (Pil) l’anno prossimo, per poi scendere verso quota zero nel 2020 e restare poco sopra quel livello l’anno seguente. In tutto i saldi in rosso da finanziare sarebbero stati di circa diciassett­e miliardi, stimati in euro correnti. Il governo attuale invece mette in conto che il deficit debba rimanere stabile al 2,4% del Pil l’anno prossimo e restare a quel livello fino al 2021. Si tratta nel complesso di circa 105 miliardi di euro di fabbisogno da finanziare a debito in più rispetto a quello che sarebbe stato prodotto se si fossero rispettati i piani del Def presentato in aprile scorso dal governo di Paolo Gentiloni. Va detto che quest’ultimo, così come quello precedente di Matteo Renzi, ha lasciato un bel po’ polvere nascosta sotto il tappeto di conti pubblici in apparenza in ordine: la convergenz­a del deficit verso lo zero era prevista solo grazie, appunto, aumenti dell’iva da dodici miliardi l’anno prossimo e da venti fra due anni.

Ma anche così l’aumento di debito da fare per realizzare i piani dell’attuale governo è notevole. A maggior ragione, perché oggi il deficit del 2019 (senza lo scatto dell’iva) tende verso il 2% e in teoria resterebbe­ro al più sette miliardi per arrivare al 2,4% e finanziare la controrifo­rma delle pensioni, il reddito di cittadinan­za e tutto il resto. La prima può costare almeno otto miliardi il primo anno, senza tener conto nei minori incassi da contributi e gettito Irpef; il sussidio ai poveri almeno altrettant­o. Il rischio di sfondament­o delle nuove soglie già più elevate è molto evidente. Finisce così che ognuno dei 23 milioni di occupati che vivono, producono e pagano le tasse in Italia si ritroveran­no con più di centomila euro di debito pubblico per ciascuno. Già oggi sono a quota 98 mila, sul totale di uno stock di oltre 2.300 miliardi in titoli di Stato e altri prestiti alla pubblica amministra­zione. Ma presto supererann­o anche quella soglia: pochi lavoratori attivi sul totale della popolazion­e, per sostenere un enorme ghiacciaio sospeso sopra le loro teste.

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