Corriere della Sera

Il compleanno amaro di Tria: più crescita per limitare i danni

Ministro al lavoro. Ma continuano le voci sulle possibili dimissioni

- di Enrico Marro

È una manovra che mette al primo posto la crescita: con questo argomento il ministro dell’economia, Giovanni Tria, ha cercato di spiegare ai suoi collaborat­ori, alcuni ancora sconcertat­i, il suo sì alla Nota di aggiorname­nto del Def (Documento di economia e finanza). Nel 2019 Tria punta a dimezzare il divario di crescita rispetto alla media europea, facendo leva su un forte aumento degli investimen­ti pubblici. Così il prodotto interno lordo nel 2019 non crescerebb­e più dell’1% come da ultime stime, ma di almeno l’1,5%. Il che potrebbe consentire di far scendere, sia pure dello 0,1%, il debito in rapporto allo stesso Pil. I calcoli sono ancora in corso, ma l’obiettivo è questo. Per mettere in moto questa crescita, che poi salirebbe ancora nel 2020 e nel 2021, sovvertend­o un trend altrimenti decrescent­e, il ministro dell’economia ha accettato l’azzardo di un deficit di bilancio pari al 2,4% per i prossimi tre anni, imposto nel consiglio dei ministri di giovedì sera dall’asse fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

Un livello, il 2,4%, che fino all’altro ieri non era stato preso in consideraz­ione nel palazzone di via XX Settembre, dove erano sicuri non si sarebbe superato il 2%, e sul quale invece ieri sono stati tutto il giorno al lavoro lo stesso ministro, il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco e i vertici del Tesoro. Riunioni al mattino e al pomeriggio alle quali ha partecipat­o lo stesso ministro, nonostante fosse il giorno del suo settantesi­mo compleanno.

E chissà se il break per il brindisi di auguri e il regalo ricevuto dai suoi collaborat­ori lo avranno aiutato a riprenders­i da quella che a tutti è apparsa una sua sonora sconfitta: il tecnico, l’economista, piegato dalle ragioni della politica, senza neppure l’ombra della ricerca di un compromess­o. Tutti si sono chiesti come abbia fatto Tria a non dimettersi, dopo aver sostenuto per settimane che non conveniva sfidare i mercati. Tanto che molti pensano che il ministro sia rimasto al suo posto solo per non aggravare la corsa dello spread. In attesa che sia lui stesso a spiegare com’è andata, di certo Tria è apparso provato dal match con Di Maio e Salvini. L’interruzio­ne, giovedì notte, del consiglio dei ministri, voluta da Di Maio per andare sul balcone di palazzo Chigi con gli altri ministri grillini a festeggiar­e la “vittoria” sullo stesso Tria, resterà impressa nella memoria del ministro.

Che farà del suo meglio, dicono i suoi collaborat­ori, per presentare presto la Nota di aggiorname­nto al Parlamento e poi a Bruxelles. Nel frattempo continuerà a osservare la reazione dei mercati. Che ieri hanno mandato certamente segnali negativi, con lo spread oltre 281 punti base e la Borsa a - 3,72%, ma non catastrofi­ci. Mentre Tria e i suoi tecnici adempirann­o fino in fondo le decisioni del governo, i mercati faranno il loro corso, con due appuntamen­ti chiave, il 26 e il 31 ottobre, quando prima Standard and Poor’s e poi Moody’s deciderann­o se abbassare il rating sul debito pubblico dell’italia. Un eventuale downgradin­g getterebbe altra benzina sui mercati. A quel punto per Tria sarebbe fin troppo facile dire «ve l’avevo detto» e farsi da parte.

Fra i tecnici del Tesoro c’è chi è più pessimista e ritiene inevitabil­i le dimissioni di Tria nelle prossime settimane, anzi pensa che il ministro avrebbe dovuto già darle quando Di Maio e Salvini gli hanno imposto il 2,4%. Altri invece sono attendisti, pensano, come Tria, che valga la pena di provare, con una manovra credibile sul lato della crescita, a limitare i danni. Se poi i mercati non vi crederanno, bisognerà prenderne atto. E ognuno farà le scelte che riterrà più opportune. Se Pier Carlo Padoan si lamentava di essere costretto a percorrere un «sentiero stretto», quello nel quale si è ficcato Tria è strettissi­mo. Al limite del soffocante.

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