Corriere della Sera

Niente aumento dell’iva (con i miliardi ottenuti in deficit)

In secondo piano l’esigenza di tagliare la spesa pubblica. L’incognita degli interessi sul debito

- Mario Sensini

Tante spese, pochi tagli e molto deficit per avere più crescita. La mossa del governo di fissare il deficit pubblico al 2,4% fino al 2021 «libera» 90 miliardi di euro che potranno essere usati nel prossimo triennio per abbattere le tasse e finanziare le riforme del programma di governo. Una scelta che riduce al minimo anche le esigenze di tagli alla spesa, di cui in effetti, in attesa della pubblicazi­one della Nota di aggiorname­nto, non si parla più.

Un terzo di quei 90 miliardi se ne andrà per compensare il mancato aumento dell’iva, che non viene sterilizza­to per un solo anno, come è stato fatto fin qui a partire dal 2011, ma sparisce per sempre dall’orizzonte. Sono 13 miliardi di euro l’anno per evitare che l’iva arrivi al 25%, come previsto dalle clausole di salvaguard­ia, ma che potranno spingere la crescita. I tecnici del Tesoro calcolano infatti che il mancato aumento potrà spingere il Prodotto interno lordo di circa 0,3 punti l’anno.

Il margine guadagnato rialzando gli obiettivi di deficit (e abbandonan­do l’idea del pareggio, che pure è in Costituzio­ne) è di circa 20 miliardi nel 2019, 30 nel 2020 e 40 nel 2021. Per l’anno prossimo le risorse per flat tax, quota 100 sulle pensioni e soprattutt­o il reddito di cittadinan­za, che costa molto, dovranno comunque essere integrate. Le misure individuat­e, compreso il fondo per i risparmiat­ori, le spese indifferib­ili e i maggiori interessi, costano in tutto circa 35 miliardi di euro.

Qualche taglio alla spesa pubblica dunque ci sarà, ma il primo soccorso alle esigenze dell’esecutivo arriverà dagli incassi «una tantum» della pace fiscale. La Lega è convinta di tirarci fuori come minimo 3,5 miliardi, ma con quei fondi non si potranno finanziare spese permanenti. Tutt’al più potranno servire per sistemare i Centri per l’impiego, operazione propedeuti­ca al reddito di cittadinan­za, o per finanziare la ricostruzi­one del ponte di Genova. Operazioni non ricorrenti, insomma.

I tagli alla spesa, invece, sembrano spariti dall’orizzonte. Ci sarà probabilme­nte un primo intervento sulle «spese fiscali», anche con l’ipotesi di un taglio lineare delle detrazioni oggi al 19%. Possibile anche un giro di vite sui ministeri da 2-3 miliardi.

Poi c’è l’incognita degli interessi. Per il 2019, se lo spread si stabilizza a quota 220 (cosa che non pare al momento) serviranno 3 miliardi in più, dice l’osservator­io sui conti pubblici dell’economista Carlo Cottarelli. Secondo il quale il 2,4% di deficit rischia di far aumentare il rapporto debito/ Pil. E di far tornare la sfiducia sui mercati, peggiorand­o drammatica­mente il quadro.

Le quote Lo stanziamen­to su tre anni per evitare per sempre le clausole di salvaguard­ia

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