Perché Leopardi può salvarci dalla retorica
rietà dei pareri, la vivacità dei contrasti. Reciproche accuse e mutui rinfacciamenti volavano, senza trascendere, da poltroncina rossa a poltroncina rossa: muro di Berlino, anni di piombo, pacifismo, mafia, posti di lavoro, volontariato e via dibattendo, con toni (e primi piani) che andavano dal ragionevole al passionale, dallo sdegnoso all’indignato. Ma fra tante dissimiglianze, nessuno dei partecipanti si è privato del suo bravo «farsi carico».
Questa frase-spia ha cominciato quasi subito a lampeggiare come quella dell’olio sul cruscotto. «Ma allora» dice uno «bisogna che i partiti si facciano carico...». E poco dopo un altro: «Se noi non sappiamo farcene carico...». E prontamente un terzo: «Quando le istituzioni si faranno carico...». E di rimando un quarto: «Veramente spetterebbe a voi farvi carico...».
Non era una congrega di tromboni, tutt’altro, né di ipocriti cercatori di prossimi voti. Quei parlatori parlavano con evidente convinzione e una stringatezza insolita per tal genere di show, da uomini avvezzi ad agire, organizzare, dirigere, perfino pensare. Ma il linguaggio li tradiva, li omogeneizzava. Da destra e da sinistra, da nord a sud, apparivano tutti spalmati della stessa nutella lessicale, le prospettive, il dialogo, lo scollamento, la concreta partecipazione in prima persona, eccetera eccetera.
È una retorica datatissima ma che temiamo ormai immortale, tanto si è ormai diffusa tra insegnanti e burocrati, preti e sindacalisti, cantanti e calciatori, tutti quanti incessantemente impegnati a farsi carico di qualcosa, di qualcuno. Ci vorrebbe una inimmaginabile «rivoluzione culturale», una radicale picconatura di questo subdolo muro che con-