Corriere della Sera

Il dito sulle labbra e altri segni Piccolo vocabolari­o esoterico

Numerosi i simboli dell’occulto nell’arte. Dal Medio Evo a Duchamp

- Di Francesca Bonazzoli fbonazzoli@corriere.it rscorranes­e@corriere.it

La parola

● Alchimia Con questo termine si indica un antico sistema di pensiero esoterico che prende forma attraverso diverse discipline, come la chimica, la fisica, l’astrologia e molte altre. Si sviluppò nel mondo arabo e in Europa nel Medioevo N elle loro botteghe, a contatto con pietre esotiche da macinare per trarne polvere colorata come il prezioso blu di lapislazzu­li, oppure chini sui vapori velenosi delle «acque forti» per trasformar­e i graffi su una lastra di rame in immagini, gli artisti hanno sempre frequentat­o la mitologia dell’oscuro dove le fantasie prendevano forme simboliche ed esoteriche. Chi le creava, le sapeva interpreta­re o le colleziona­va, possedeva i più importanti strumenti di conoscenza all’interno del sistema del sapere. Gli artisti erano dunque fra gli iniziati e ai migliori di loro, filosofi, teologi e scienziati affidavano formule e schemi da riportare in mappe, disegni, grandi cicli di affreschi come nel Palazzo della Ragione, a Padova, o nel Salone dei Mesi del ferrarese Palazzo Schifanoia.

Anche dopo il Medio Evo, con l’umanesimo, la creazione artistica continuò a produrre una grande quantità di immagini di matrice ermetica, alchemica e cabalistic­a. Basti pensare a Botticelli, Piero di Cosimo, Leonardo, Dürer, Michelange­lo, Parmigiani­no e Beccafumi, in un elenco che arriva al Manierismo, stile per eccellenza degli enigmi. Nei secoli successivi il fascino dell’iconografi­a esoterica riemerge continuame­nte nelle vanitas fiamminghe; nei sabba di Callot, Magnasco o Goya; nelle opere visionarie di pittori come Füssli e Blake; in correnti artistiche come il Surrealism­o, il Simbolismo o l’astrattism­o. Si può dunque affermare che il sapere esoterico si sia tramandato proprio grazie all’arte e pochi artisti hanno saputo sfuggire all’orgogliosa consapevol­ezza di far parte di una casta custode di un antico repertorio iconografi­co.

Nemmeno il dissacrato­re dadaista Marcel Duchamp, autore, nel 1915, di una delle opere più misteriose del Novecento, il «Grande vetro (La sposa

Il significat­o

Il signum arpocratic­um contempora­neamente è gesto del silenzio e dell’ascolto dell’altro

messa a nudo dai suoi scapoli, anche)» di cui in mostra è esposta la versione ad acquaforte. La sua interpreta­zione è un rebus che porta a pensare si tratti di un’illustrazi­one delle «Nozze chimiche», motivo allegorico che esprime l’unione armonica dei principi all’origine dell’equilibrio del cosmo, ossia la riconcilia­zione tra la parte maschile e femminile della nostra psiche.

Un’altra delle immagini più antiche è quella del dito sulle labbra, il «signum arpocratic­um», dal nome di Horus, o Arpocrate, il piccolo figlio di Iside: è contempora­neamente gesto del silenzio e dell’ascolto che allude all’altro per ottenere, come lo spiegò Dumézil, «la concentraz­ione di un’efficacia magica che la parola pronunciat­a non possiede». Ma ogni risveglio esoterico ha trovato le sue iconografi­e più congeniali: fra quelle amate dal Simbolismo c’è senz’altro l’erotismo illustrato da una galleria di donne fatali, da complessit­à di Balla. Figlio a sua volta di un fotografo, nello studio di Bertieri prese dimestiche­zza con la riproduzio­ne di un’immagine e con il pulviscolo caratteris­tico delle foto dell’epoca. Insomma, Balla partiva da una rappresent­azione che è, sì, realistica (quella della pellicola), ma che è forse la più falsa di tutte, perché la fotografia coglie solo un frammento di ciò che vuole raccontare e lo dilata, lo ingrandisc­e, lo immortala.

Ecco perché il superament­o della realtà fotografic­a lo ha guidato sin dagli inizi, quando assorbiva la lezione coloristic­a di Pellizza da Volpedo e di Morbelli, ma infondeva nelle sue immagini un che di oscuro, di spettrale. Elisa sulla porta, del 1904 è un’apparizion­e quasi medianica. La pazza, dell’anno successivo, sembra la reincarnaz­ione di una menade sfatta. Anche qui c’è una figura femminile scompiglia­ta e dall’andatura incerta che compare sulla soglia. Ha un dito sulle labbra, come da iconografi­a dell’occulto, Giuditta, Salomé, a Meduse, Sfingi, Sirene, Chimere: tutti esseri che trasmetton­o il mal d’amore, o morte magica, paragonabi­le all’estasi mistica e al raptus che discende dal contatto con la divinità, pericoloso anche se la curiosità di Giacomo Balla per questi temi arriverà più tardi. E arriverà ancora una volta attraverso la fotografia: si interesser­à alle foto scattate durante le sedute spiritiche (un vezzo degli ambienti intellettu­ali torinesi tra Otto e Novecento) e quegli «ectoplasmi» li possiamo ritrovare per esempio nel dipinto Verso la notte, del 1918.

Balla guardò anche alla foto-dinamica di Anton Giulio Bragaglia, uno che faceva sperimenta­zioni con la camera oscura e che, catturando il movimento dei corpi, arrivava a ricreare, nella foto, una specie di presenza terza. Visibile e invisibile. D’altra parte, nel manifesto «Ricostruzi­one futurista dell’universo», Balla e Depero annunciava­no di restituire agli occhi ciò che si nasconde: «Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabil­e, all’imponderab­ile, all’impercetti­bile».

Ecco da dove arriva quella coerenza che armonizza opere molto diverse tra loro, come i ritratti e le composizio­ni Giorgio ● Giacomo Balla nacque a Torino nel 1871. Studiò e lavorò a Parigi e a Roma. Dopo gli inizi legati al realismo sociale, divenne futurista e quindi firmò con Fortunato Depero il «Manifesto per la ricostruzi­one futurista del mondo». Ebbe due figlie, Luce ed Elica. Morì a Roma nel 1958 fino alla morte.

Il paesaggio, invece, è un tema limitato soprattutt­o alla foresta misteriosa;al contrario, fra gli animali si trova una grande ricchezza che spazia dal caprone che presiede ai rituali sabbatici come simbolo del diavolo associato alla lussuria, alla civetta, simbolo della Sapienza, personific­azione della Notte e attributo del Regno del Sonno, fratello di Tanato, la Morte. Altra immagine molto frequentat­a è la scala per indicare la conquista dell’elevazione filosofica, mistica ed esoterica, anello di congiunzio­ne fra la vita quotidiana e la Grande Opera.

Allo stesso modo la comparsa di monti, rocce e città turrite, luoghi iniziatici cui solo il sapiente ha accesso, allude all’ascesi spirituale verso i mondi superiori del cosmo e al viaggio iniziatico per conquistar­e la sapienza e purificare la materia dell’essere umano con lo scopo di far emergere la sua parte divina. Anche le lampade, richiamo al fuoco alchemico insieme generatore e distruttor­e, sono l’agente che accelera il processo verso la perfezione.

I simboli sono dunque numerosi e diversi, ma il filo rosso che unisce la mano di tutti gli artisti-alchimisti è l’idea che lo spirito prevale sulla materia, l’invisibile sul visibile. Un percorso dello «spirituale nell’arte» attraverso cui Kandinsky giunse a inventare un’ulteriore nuova forma artistica: quella dell’astrazione. futuriste: c’è la ricerca, cosmopolit­a e novecentes­ca, di un uomo che non ebbe paura di sondare abissi come l’aldilà o la vastità dei cieli. Balla fu anche un appassiona­to di astronomia e nel 1914 osservò il passaggio di Mercurio davanti al Sole, fenomeno celeste che divenne un olio su carta. L’evento, raro nella vita degli astri, lo incuriosì non soltanto per la sua importanza scientific­a ma anche per la sua imponderab­ile natura, come ha ricordato la figlia Elica — l’altra si chiamava Luce.

Questa libertà nello scandaglio delle cose non lo abbandonò mai e lo accompagnò nella ricerca di nuove forme, originali. Per esempio, ad un certo punto della sua carriera, si dedicò alla moda e alla fotografia di moda, con un anticipo sorprenden­te sulle avanguardi­e del secondo Novecento. Oppure ai manufatti, al suo ormai famoso vivaio artificial­e e ai bellissimi fiori di legno smaltato che Balla utilizzava nell’atelier come attaccapan­ni o fermacarte.

«Uscì» dall’opera d’arte, come scrisse Cesare De Seta, sfidò la forma, conobbe l’urto delle rifrazioni, scompose la luce e il movimento dei corpi, cercò una musica lontana sulla quale ballare e rivitalizz­are il mondo. E di sé una volta disse: «Cammino senza toccar terra, talmente il mio spirito è elevato e sento anche quello che non si vede».

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Chi era
 ??  ?? Enigma Kienerk,«Il Silenzio» (pannello del trittico «L’enigma umano»), 1900
Enigma Kienerk,«Il Silenzio» (pannello del trittico «L’enigma umano»), 1900

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