«Risate contro i razzismi»
Mahershala Ali, Oscar per «Moonlight»: «Colto e raffinato in una commedia che batte i pregiudizi sugli afroamericani»
LOS ANGELES Dopo la vittoria agli Oscar per Moonlight, Mahershala Ali è uno degli attori del momento, già in pista per tutti i futuri premi con Green Book di Peter Farrelly. Presentato al festival di Toronto, il film ha conquistato il People’s Choice Award. Una commedia in cui si ride e ci si commuove. Spiega l’attore, nato in California nel 1974, laureato in Arte e Comunicazioni di massa, primo musulmano a vincere la statuetta dell’academy: «C’è una battuta in Green Book che riassume la sofferenza e la vulnerabile forza del mio personaggio, il colto musicista Don Shirley, cresciuto in una ricca famiglia di immigrati giamaicani a New York. Dice Don:
“Non sono nero abbastanza, non sono bianco abbastanza: dimmi tu chi e cosa sono io”».
Che cosa racconta «Green Book»?
«Il nostro film è ambientato nell’america dei tanti conflitti sociali e culturali degli anni Sessanta e delle manifestazioni per i diritti civili. Il mio compositore è richiesto e riverito. Ma le leggi, nella sua tournée nel Sud, gli impediscono di essere ammesso alle cene di gala dello stesso pubblico che va ai suoi concerti. Perché la sua pelle è nera: il film affronta duramente, spesso con ironia dark, il nodo del razzismo». C’è una battuta che condensa i temi più forti? «Io dico nel film: “Non vinci mai con la violenza, ma solo se mantieni la dignità”. Ho amato ogni dialogo, ogni situazione del tour del compositore e musicista, che assume come autista Viggo Mortensen, rimasto senza lavoro per la ristrutturazione del locale dove era impiegato a Manhattan». Lei ha mai subito discriminazioni come afroamericano? «Mio padre mi ha insegnato a vincere ogni forza contraria. Per venti anni ha lavorato a Broadway e ad Harlem come attore e ballerino. Da bambino, lo accompagnavo ovunque mentre sognavo di diventare campione di basket e… scrivevo poesie. Imparai presto che il razzismo è dovunque, esplicito o sotterraneo. La mia famiglia mi ha reso forte». Lei si è convertito alla religione islamica...
«Era il 1999, ero andato in una moschea con la mia futura moglie, Amatus Sami-karim. Se sei di fede musulmana cerchi di dare il meglio di te
stesso, impari ad accettare gli altri».
La platea si commuove e si diverte con la comica parlantina di Viggo e la contrapposta classe del suo compositore.
«Attraverso un rovesciamento di tanti stereotipi, il mio afroamericano è colto e sofisticato. L’uomo bianco è rozzo e privo di cultura. Tra i due nasce un’amicizia profonda. Il film è un viaggio interiore e anche geografico negli Usa. Il titolo fa riferimento al libro The Negro Motorist Green Book, una guida pubblicata al tempo delle segregazioni, una sorta di guida per i viaggiatori afroamericani. Per capirsi i due personaggi hanno, però, bisogno di altre cose».
Lei nella vita è anche un musicista. Si identifica con il protagonista?
«Il copione permette al mio personaggio di eseguire musica classica, jazz, spiritual, gospel… Il film fa sorridere adulti e giovani perché il mio Don è davvero simpatico: sa tutto di Beethoven e di altri giganti della musica, ma prende lezioni sulla black music dal suo autista».. Che cosa può insegnare il film al pubblico?
«Vorrei che la musica di Don aprisse i cuori e che il film possa battere tanti pregiudizi. “Ci vuole coraggio per cambiare il cuore delle persone”, è una delle battute del film. Io ho fatto mie queste parole, mi appartengono ogni volta in cui gli afroamericani e le minoranze conquistano qualcosa per cui hanno lottato».