«Pechino Express», servizio pubblico anche con un cast debole
N on è certo un mistero che l’ingrediente fondamentale di ogni reality show sia un casting azzeccato: gli autori sono importanti, il meccanismo anche, ma trattandosi di un genere che «ravana» nelle pieghe delle psicologie e dei comportamenti, il materiale umano è tutto. Guardando la nuova edizione di «Pechino Express», in onda il giovedì sera su Rai2, l’impressione è che, rispetto a stagioni passate, il casting sia piuttosto debole.
I luoghi sono sempre magnifici (al suo cuore «Pechino» è un documentario di viaggio arricchito da un meccanismo di gioco e una buona dose di ironia). Il montaggio è perfetto e le avventure dei vip in Africa, in particolare nel deserto marocchino, sono divertenti e c’è un bel gusto nel vederli alle prese con una cultura molto lontana dalla nostra e più impenetrabile di quelle sperimentate in Asia e Sud America.
Costantino Della Gherardesca padroneggia la conduzione con maestria, ormai Pechino è la sua comfort zone (la vera sfida sta ora nel trovare nuove idee di programma giuste per lui). Il problema è invece il cast, perché l’effetto tormentone che ha in passato garantito gran parte del divertimento allo show fatica a innescarsi. Giusto Maria Teresa Ruta, in coppia con Patrizia Rossetti, spicca come personaggio, con il suo approccio svagato e surreale alla vita e alla competizione. D’altronde il sottobosco di vip o pseudo-vip tra cui pescare concorrenti non è infinito e c’è chi è ormai al secondo o terzo giro in programmi di questo tipo.
Pechino è uno dei pochi format di reality accettabili in chiave Servizio pubblico, perché ha un meccanismo di gioco sorretto dall’avventura di viaggio, non è votato al semplice voyeurismo. Ma l’impressione è che programmi come Grande fratello e Isola abbiano ormai irrimediabilmente spostato l’asticella del rappresentabile e sia difficile per programmi meno trash come Pechino Express tenere il passo.