«I burocrati non si cambiano»
Patroni Griffi, il nuovo presidente del Consiglio di Stato
ROMA «Le decisioni politiche spettano al potere politico, ma in democrazia tutti devono sottostare a regole e vincoli».
Di che vincoli parla?
«Innanzitutto quelli imposti dalla Costituzione, come ricordato dal Capo dello Stato. Poi i vincoli europei, a cui noi abbiamo scelto di legarci. Ma ci sono anche vincoli non giuridici ma economici, come la famosa “reazione dei mercati” che pure dev’essere presa in considerazione al momento di operare scelte politiche».
Dunque i governi devono sottostare ai mercati?
«Non sottostare, ma tenere conto di una realtà non governata per legge. Naturalmente si può tentare di indirizzarla, ma ci sono rischi di cui la politica deve farsi carico quando prende decisioni che incidono sulla vita dei cittadini. Assumendosene la responsabilità».
Filippo Patroni Griffi, 63 anni, è il nuovo presidente del Consiglio di Stato, e arriva alla guida del massimo organo di giustizia amministrativa in un periodo di rapporti piuttosto tesi tra il governo e la burocrazia statale, che conosce bene essendo transitato anche, attraverso le cosiddette «porte girevoli», da ruoli di ministro e sottosegretario, oltre che di capo di gabinetto e di ufficio legislativo.
Quindi i tecnici devono avere un ruolo maggiore rispetto a quello in cui il potere politico vorrebbe relegarli?
«Io credo che sia necessaria una leale e costante collaborazione tra politici e tecnici. Il politico ha bisogno del tecnico per arrivare a una soluzione consapevole, il tecnico deve rispettare e attuare gli indirizzi politici, fermandosi al momento della decisione. Le frizioni spesso derivano dall’insofferenza dei politici ai tecnici o dal debordare dei tecnici nelle decisioni di natura politica, ma purtroppo c’è grande approssimazione nel dibattito politico su questo argomento».
Perché?
«Perché si cade in maldestre generalizzazioni, come quando si accomuna chiunque svolga un incarico in un ufficio di diretta collaborazione del ministro (professori, magistrati, avvocati dello Stato, consiglieri parlamentari) ai “burocrati”. È un errore da matita blu! I capi di gabinetto o dell’ufficio legislativo sono cosa diversa dalla dirigenza amministrativa dei ministeri; sono il supporto tecnico del ministro e i mediatori tra esigenze tecniche e politiche. Confondere i due ruoli è come confondere il controllore con il controllato. È normale che i collaboratori diretti cambino insieme ai ministri, attraverso lo spoils system, ma i burocrati no: dovrebbero rimanere per dare stabilità alla macchina statale».
Secondo lei l’insofferenza verso il ruolo dei tecnici si traduce in insofferenza anche verso il controllo di legalità esercitato dai giudici?
«C’è insofferenza per le troppe sentenze, ma se ci si arriva vuol dire che qualcuno ce le chiede. E la legittimazione democratica non pone nessuno al di sopra della legge, nemmeno il Parlamento che è libero nei fini, ma poi deve sottostare alla Costituzione e agli obblighi internazionali. La ragion d’essere del giudice, e del giudice amministrativo in particolare, è di controllare il potere pubblico a garanzia dei cittadini e della legalità dell’ordinamento».
d Ma ci sono anche vincoli non giuridici ma economici, come la famosa reazione dei mercati che pure dev’essere presa in considerazione
Tra i vincoli a cui lei faceva riferimento ci sono quelli dell’unione europea, mentre le spinte sovraniste tendono a liberarsene. Quale è il ruolo del giudice in questo contesto?
«Esiste un ordinamento giuridico europeo a cui il giudice nazionale deve sottostare. Ma le norme vanno interpretate, ed è fondamentale che i giudici nazionali sappiano dialogare tra loro e con le Corti europee. Solo così si può arrivare a un diritto comune che non sia imposizione dall’alto, bensì un percorso a cui concorrono giudici nazionali e europei; e il giudice diventa così baluardo dei diritti dei cittadini europei nei confronti dei poteri pubblici e delle stesse istituzioni dell’ Unione».
Intanto in Italia i contenziosi amministrativi aumentano.
«Sono la conseguenza di decisioni che non hanno trovato soluzioni a monte. Casi come la Tav o il Tap dimostrano che bisognerebbe ascoltare tutte le istanze e cercare una mediazione prima della decisione. Che comunque lascerà scontento qualcuno, ma con un’amministrazione di maggiore qualità si ridurrebbero le controversie. L’espansione del ruolo dei giudici è sintomo di una democrazia amministrativa non sufficientemente matura. La funzione di supplenza è conseguenza di un’assenza, e dunque di qualcosa che non funziona».
Vale anche per la questione del ponte Morandi, tra annunci di revoche delle concessioni e scelte per la ricostruzione?
«Su questo occorre aspettare le iniziative del governo e comunque, nel mio ruolo, sarebbe inappropriata qualsiasi valutazione».
Le richieste di pareri preventivi al Consiglio di Stato sono sempre più frequenti. Lei è d’accordo con questo ruolo consultivo?
«Rientra in una funzione di legittima e leale collaborazione istituzionale, e può prevenire il contenzioso. Tuttavia i nostri pareri preventivi, che devono essere chiari, netti e neutrali, non possono mai diventare una copertura per decisioni che spettano ad altri, e di cui altri rispondono».
Le cronache più recenti hanno svelato fenomeni di corruzione, accertati o ancora presunti, che hanno investito anche il Consiglio di Stato. È preoccupato?
«Un giudice corrotto è la negazione dell’essenza stessa del giudice, e purtroppo nessun settore della vita pubblica può ritenersi immune dal virus della corruzione. È importante vigilare con rigore e tempestività. Trasparenza, incompatibilità e obblighi di astensione sono meccanismi di prevenzione già in atto, ma abbiamo un sistema disciplinare farraginoso e inadeguato, servirebbero poteri ispettivi che oggi non abbiamo. Il mio predecessore Alessandro Pajno aveva sollecitato i precedenti governi a mettere mano a una riforma che purtroppo ancora non s’è vista, io tornerò a farlo con il governo in carica».