Mi riconsenta
Ma a voi non manca la sana ipocrisia di una volta? Per limitarsi alle ultime ore, il virile Salvini ha dato dell’ubriacone al capo della Commissione europea, un cui autorevole esponente ha definito razzista il governo di uno Stato membro, il nostro. Anche se avessero ragione entrambi, la verità è nuda e toccherebbe alla saggezza rivestirla. Forse sono finiti gli indumenti. Si prova quasi tenerezza per Churchill, che, provocato da Lady Astor in Parlamento («Se fossi vostra moglie, vi avvelenerei il tè»), le rispose senza scomporsi: «E se io fossi vostro marito, lo berrei». Ma in certi giorni può assalirti persino la nostalgia delle convergenze parallele di Moro e — chi lo avrebbe mai detto — dei «diciamo» di D’alema e dei «mi consenta» di Berlusconi. Diciamo che non sono più consentiti. Neanche dalla diplomazia internazionale, già culla delle buone e false maniere, ora che nella rutto-era di Trump il dittatore coreano può passare da malvivente ad amante in meno di un tweet.
La volgarità ha cambiato nome, si fa chiamare sincerità. E l’educazione è diventata come la cultura: il sintomo di un comportamento asociale. In pubblico basta dire una parolaccia per prendersi l’applauso. Solo in privato persistono barlumi dell’antica ipocrisia, ma sono sempre più rari. Un tempo, per conoscere l’ubicazione del bagno in casa d’altri, si chiedeva: «Dove potrei lavarmi le mani?». Adesso, se non racconti nel dettaglio che cosa ci vai a fare, sembri uno snob che ha appena perso le elezioni.