Il papà Paperone di Trump fra truffe, mafia e risparmi
Nuove rivelazioni su Friedrich, che evase milioni di tasse
L’inchiesta
● Fred Trump, intraprendente costruttore del Queens e padre del presidente Donald Trump, ha lasciato nel corso degli anni circa un miliardo di dollari ai figli: Maryanne, Robert e Donald (un altro fratello, Fred Trump, è morto nel 1981)
● Secondo le analisi del New York Times, il capofamiglia avrebbe dovuto versare 550 milioni di tasse. Risulta, invece, che i Trump pagarono solo 52,2 milioni di dollari WASHINGTON Il concetto di lecito è sempre stato piuttosto approssimativo nella storia della famiglia Trump. Il capostipite, Friedrich Trump, il nonno tedesco dell’attuale presidente degli Stati Uniti, fece fortuna nel Klondike, aprendo un bar-grill che offriva bistecche e, nel retro, «sporting ladies», prostitute, ai cercatori d’oro.
Quando morì, nel 1918, suo figlio Fred aveva solo 12 anni. Ma già con un’irresistibile attrazione per il business. I Trump si erano trasferiti nel Queens, uno dei cinque distretti di New York. Il ragazzino fondò la sua prima società con la madre: la «Elizabeth Trump & Son», un garage-deposito a pagamento. A 18 anni si intruppò con il «Ku Klux Klan» e durante una manifestazione si scontrò con la polizia. Fu arrestato, ma riuscì a evitare il processo, non si è mai capito come. Ma quello fu il primo, chiaro segnale di un talento innato, chiamiamolo così. Dentro e fuori il perimetro segnato dalla legge, senza mai cadere.
L’inchiesta pubblicata martedì 2 ottobre dal New York Times ha svelato come Fred riuscisse a eludere e probabilmente truffare il Fisco, passando soldi e beni immobiliari ai figli Fred Jr (morto nel 1981), Donald, Robert, Maryanne, Elizabeth. Fino ad arrivare al caso ora al centro delle polemiche: il trasferimento di un miliardo di dollari a Donald, pagando solo 52,2 milioni di tasse, anziché 550 milioni.
Fred ha sempre dissimulato la sua ricchezza e, soprattutto, il suo potere. Anche da miliardario ha continuato a gestire gli affari da un buco a Brooklyn con due scrivanie: la sua e quella della segretaria. Ha vissuto fino alla morte nel 1999, a 83 anni, in un condominio del Queens, con i mattoni grezzi e gli infissi di modesta qualità, come le decine e decine di edifici che ha costruito a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Case per i veterani di ritorno dal fronte o per gli operai della grande ricostruzione. I cantieri venivano finanziati o garantiti dalla Federal Housing Administration di Washington. Fred, come altri palazzinari disinvolti, intascava i fondi, costruiva con materiali scadenti, imboscava gli extra profitti.
Il giornalista David Cay Johnston racconta nel formidabile libro The Making of Donald Trump (2016) come la notizia dei maneggi di Fred arrivarono fino a Dwight D. Eisenhower. Il presidente esplose di rabbia nello Studio Ovale. Il costruttore Fred fu convocato dalla Commissione bancaria del Senato. Ma nessuno riuscì a dimostrare il sospetto che fosse riuscito a occultare circa 4 milioni di dollari.
Fred aveva rapporti con tutti, in quegli anni di sviluppo selvaggio. Finanziò politici e sindaci, addomesticò i sindacati grazie all’intervento dei Gambino e dei Genovese, due delle cosche più potenti di Cosa Nostra.
Viveva nel culto del lavoro e del risparmio. Quando visitava i cantieri raccoglieva i chiodi e li porgeva al capomastro. Si concedeva pochi sfizi: regalava qualche pelliccia alla moglie, festeggiava i compleanni da Peter Luger, la costosa steakhouse di Brooklyn. Girava su una Cadillac con targa personalizzata: «Fct», Fred Christ Trump.
Tra i figli, Donald emerse come il suo erede naturale. Ma «The Donald» ha sempre sminuito la spinta del padre, fin da quando era un giovanotto e faceva la spola da un club all’altro di Manhattan guidando anche lui una Cadillac. Targata «Djt»: Donald John Trump.