Astaldi, il dossier a Salini-impregilo «È un concordato, non un fallimento»
Un debito da quasi due miliardi di euro. Che ha messo nell’angolo Astaldi nonostante un portafoglio ordini da 25 miliardi che teoricamente avrebbe potuto evitarle di arrivare sin qui. Il secondo gruppo di costruzioni del nostro Paese è tecnicamente in fase di pre-concordato. Non è assimilabile ad un default, anche se la strada per evitare di portare i libri in tribunale è strettissima e il merito di credito appena assegnatole dall’agenzia di rating Standard&poor’s equivale ad un fallimento. Fonti vicine al dossier rilevano che Astaldi ha ancora cassa per tre mesi e per questo sta lavorando ad un piano di ristrutturazione che si gioverebbe, nel caso il tribunale di Roma desse il via libera e non è scontato che ciò avvenga, di un concordato in continuità che le permetterebbe di congelare per quattro-sei mesi le richieste dei creditori e nell’attesa prendere respiro per un’operazione di salvataggio che le permetta di proseguire l’attività.
Intesa Sanpaolo, Unicredit e Bancobpm sono esposte con Astaldi per diverse centinaia di milioni di euro e per questo stanno facendo pressione per trovare una soluzione che permetta loro di non dilapidare l’investimento e i prestiti concessi ad un gruppo che ha partecipazioni e commesse importanti in Italia e all’estero, tra cui la metro 4 di Milano, il tunnel del Brennero, l’alta velocità ferroviaria tra Brescia e Verona. Le
banche d’affari, tra cui Jp Morgan e Merrill Lynch, sarebbero al lavoro per trovare potenziali acquirenti e avrebbero sondato l’interesse di Salini-impregilo, che in una nota si dice interessata a valutare «nel settore delle grandi opere infrastrutturali ogni opportunità di crescita». Non è una smentita, non è nemmeno una conferma, anche perché il primo general contractor italiano sta da anni riducendo l’esposizione sul nostro Paese spingendo verso gli Stati Uniti dove coltiva l’ambizione di raggiungere metà del fatturato da qui a qualche anno. Tra gli asset in pancia ad Astaldi ingolosisce certo la concessione del terzo ponte sul Bosforo, ma l’interesse è attenuato dall’instabilità politica del Paese che fa il paio con quella che Astaldi si è trovata ad affrontare in Venezuela all’origine di tutti i mali.
Gli ambiti di sovrapposizione tra i due gruppi sono tanti e scoraggerebbero un’operazione di questo tipo. Sono però tante anche le sinergie possibili. Quel che è certo è che con tutta probabilità la società guidata da Claudio Salini sarà costretta a rilevare alcune partecipazioni dirette di Astaldi nei consorzi in cui è socia per la realizzazione di opere infrastrutturali, come sta avvenendo per il terzo valico ferroviario di Genova dove Salini-impregilo rileverà la quota di Condotte scivolata in amministrazione straordinaria. Oppure assumendosi per intero il rischio nei lavori dove ha firmato un’ati, un’associazione d’impresa con Astaldi, come per le opere di realizzazione dell’alta velocità ferroviaria tra Bari e Napoli commissionate da Rfi.