Corriere della Sera

Sullo scoglio dei segreti

Nel romanzo di Valentina d’urbano un mistero che arriva dal passato

- di Elisabetta Gnone

«Si chiamava Isola di Novembre ed era minuscola, poco più di uno scoglio, sperduto in mezzo al mare… Seduta sulla barca di suo padre, ormeggiata all’ombra del molo, Neve cascava dal sonno. Era una mattina fresca d’inizio settembre. Le giornate avevano cominciato a tingersi di una luce diversa, più tenue, meno feroce, e di notte l’aria aveva già il respiro dell’inverno. Nascosta agli sguardi dal parapetto del molo, Neve si sforzava di tenere gli occhi aperti, e intanto esaminava le reti. Era un lavoro lungo e noioso, che scorticava le dita… Faceva scivolare meccanicam­ente le corde tra le mani, tirava i nodi e liberava le impunture dalle alghe marce. Avrebbe tanto voluto sdraiarsi nella barca e chiudere gli occhi. Solo per cinque minuti…».

Quando soffia lo scirocco, e sulle colline del Monferrato, dove abitiamo, arriva l’odore del mare, mi ritrovo a respirare a naso in su e a occhi chiusi, come fa il nostro cane quando il vento porta odore di selvatico. Annuso l’aria e inalo ricordi: salsedine, alghe, reti, scogli, onde, gabbiani, conchiglie... Riempio i polmoni e un po’ mi commuovo, perché sul mare ci sono nata. Su un’isola, scalza, con una maglietta e un costume, ho trascorso le mie estati e alcuni giorni d’inverno. Era un mare duro, aspro, selvaggio. Il mare che è entrato in casa nostra, con tutta la sua irruenza e il suo mistero, qualche giorno fa, quando ho letto il libro di Valentina d’urbano, Isola di Neve (Longanesi).

Sciaff!, hanno fatto le onde contro il mio comò. Il mare di un’isola, l’ho riconosciu­to. Un mare di pochi. Ben diverso dal mare addomestic­ato della terra ferma, che è di molti, talvolta di troppi.

L’acqua che circonda l’isola di Novembre, l’acqua che racconta Valentina D’urbano, su cui rema Neve per andare a conoscere il prigionier­o del carcere, di nascosto, perché è proibito e il padre mena sberle feroci, è come un lupo allevato da cucciolo: non morde, ma conserva l’anima selvatica.

Questa alternanza, questo contrasto, si ritrova anche nei caratteri dei protagonis­ti del libro e nelle loro relazioni: Manuel, che torna sull’isola dopo dieci anni d’assenza, inseguito da un passato segreto e violento, e si rifugia nella vecchia casa dei nonni… «Non c’era un suono che fosse uno, né di natura umana, né animale. Solo il rumore delle onde che s’infrangeva­no sulla scogliera…». Ed Edith, la violinista straniera, «… I capelli biondi erano acconciati in dreadlocks lunghi sottili… Un po’ in sovrappeso e di una sciatteria disastrosa, ma con gli occhi di una bella sfumatura di azzurro, le labbra ben disegnate… Suona come il diavolo» ed è libera e incoscient­e. Edith racconta di essere sulle tracce di un prezioso violino, andato perduto, che lei vuole ritrovare. È l’inizio di una storia che ne porta a galla un’altra, antica, eppure sorprenden­temente prossima.

La storia di Neve, figlia di un pescatore, splendida, ribelle, selvaggia, e del musicista tedesco, che da una cella, nel carcere di massima sicurezza di Santa Brigida, uno scoglio davanti a Novembre, suona Vivaldi per lei, corre parallela alle indagini di Edith e di Manuel. Fino al colpo di scena finale.

Il ritmo del racconto è il ritmo della vita su un’isola, che al cittadino, appena sbarcato dall’aliscafo, può apparire lento. Ricordo bene le attese, i primi giorni di vacanza, davanti ai negozi di C. che aprivano alle cinque del pomeriggio, e il nervoso che assaliva quando toccava ascoltare le chiacchier­e di tutti prima di essere serviti, ed era buona creanza rispondere alle domande dei curiosi.

Poi, passati alcuni giorni, si prendeva il passo, i volti diventavan­o familiari e i racconti interessan­ti. Così succede in questo libro: dopo alcune pagine si viene presi dalla corrente che, acquistand­o più vigore, soprattutt­o verso il finale, avanza inesorabil­e verso il compimento dei destini di tutti i personaggi, svelandone i segreti.

Valentina d’urbano è scrittrice scrupolosa. Come già in Acquanera, si ritrovano qui le sue descrizion­i dettagliat­e e precise: il mare, l’isola, gli isolani sono resi vivi e credibili da una scrittura generosa, che racconta per immagini. Leggendo Isola di Neve ho rivisto la piazza assolata di C., sono tornata fra gli odori dei carruggi del paese, mi sono seduta sul molo, in un tempo sospeso, ad aspettare le barche al porticciol­o sperando portassero novità, magari un piccolo mistero, su cui noi ragazzi eravamo bravi a ricamare per trasformar­lo in una grande avventura.

 ??  ?? Orizzonti John Wesley (1928), Boyfriends (1991, stampa a colori), courtesy dell’artista statuniten­se a cui è dedicata la mostra Together and alone (fino al 20 ottobre) alla Fredericks & Freiser Gallery di New York
Orizzonti John Wesley (1928), Boyfriends (1991, stampa a colori), courtesy dell’artista statuniten­se a cui è dedicata la mostra Together and alone (fino al 20 ottobre) alla Fredericks & Freiser Gallery di New York

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